mercoledì 7 agosto 2013

IL CAMPO NAZIONALE ARALDINI

C'era una volta... 
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. 
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno..... neanche!!!!
C'era una volta UN ARALDINO
Mentre alcuni di noi si stanno preparando per il 73° gifraevento d Assisi, voglio raccontare la mia esperienza al campo nazionale degli araldini avvenuto dal 10 al 14 luglio.
La famiglia francescana è veramente aperta a tutte le età e anche i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie hanno un "posto" per loro. Questo posto si chiama, appunto, fraternità degli Araldini.
Oltre 700 bambini, insieme ad assistenti e animatori si sono ritrovati ad Assisi per vivere il XXII campo nazionale!
La storia che ha fatto da sfondo durante l'evento è stata proprio quella di Pinocchio, che è servita ai piccoli francescani per immedesimarsi nella propria vita e nel proprio rapporto con Dio. Molto bello è stato anche il parallelismo tra Pinocchio e il figliol prodigo!
Con TE comincia la vita! (lo slogan del campo)
Sicuramente è stato un evento importante e gli araldini che hanno partecipato non se lo scorderanno facilmente. E' importante che la famiglia francescana abbia a cuore questa fascia di età: essa rappresenta il futuro e anche un tesoro, infatti è una voce in più che tanto può insegnare ai giovani della GiFra, ai più "adulti" dell'Ofs e ai consacrati e consacrate!
Antoine de Saint-Exuperie diceva che anche i grandi sono stati bambini, ma non se lo ricordano, anche noi francescani è giusto che ce lo ricordiamo spesso

giovedì 13 giugno 2013

PREGARE CON LA CARNE, NON CON LE IDEE!

Anche oggi conforta leggere i brani dell’omelia fatta a braccio da Papa Francesco nella messa mattutina a Santa Marta, divenuta un appuntamento quotidiano per molti. Parlando delle persone che vivono «nel sottosuolo dell’esistenza», in condizioni «al limite», e che hanno perso la speranza e commentando le Lettura del giorno che parlavano delle esperienze di Tobit e di Sara, due persone sofferenti, al limite della disperazione, il Papa ha detto:«Non bestemmiano, ma si lamentano… Lamentarsi davanti a Dio non è peccato».
Bergoglio ha quindi raccontato questo episodio: «Un prete, che io conosco, una volta ha detto a una donna che si lamentava davanti a Dio per le sue calamità: “Ma signora, quella è una forma di preghiera, vada avanti. Il Signore sente, ascolta i nostri lamenti”». Lamentarsi, ha spiegato, «è umano», anche perché «sono tante le persone in questo stato di sofferenza esistenziale».

Il Papa ha quindi parlato del brano evangelico di Marco, nel quale si racconta dei sadducei che interrogano Gesù sulla donna vedova di sette fratelli. I sadducei, ha detto il Pontefice, la presentavano come in «un laboratorio, tutto asettico, un caso di morale». Invece «quando noi parliamo di queste persone, che sono in situazioni al limite», dobbiamo farlo «con il cuore vicino a loro». Dobbiamo pensare «a questa gente, che soffre tanto, con il nostro cuore, con la nostra carne». E ha detto di non apprezzare «quando si parla di queste situazioni in maniera accademica e non umana», ricorrendo magari solo a statistiche.
«Nella Chiesa ci sono tante persone in questa situazione» e a chi chiede cosa si debba fare la risposta del Pontefice è «quello che dice Gesù: pregare, pregare per loro». Le persone che soffrono — ha aggiunto — «devono entrare nel mio cuore, devono essere un’inquietudine per me. Il mio fratello soffre, la mia sorella soffre; ecco il mistero della comunione dei santi. Pregare: Signore guarda quello, piange, soffre. Pregare, permettetemi di dirlo, con la carne». Pregare con la nostra carne, dunque, «non con le idee; pregare con il cuore» ha ribadito.

Fonte: Andrea Tornielli (http://2.andreatornielli.it/?p=6400)

giovedì 6 giugno 2013

La Grande Speranza

Scena di mercato (part. da Ecce Homo) di Pieter Aertsen (ca.1508-1575) Alte Pinakothek, Monaco

   Qualcosa contesta a fondo la speranza, e non è la fatica del vivere; qualcosa rinfaccia alla speranza di essere solo un'illusionista che fa giochi e proietta ombre sul muro della stanza, e non è il peso della storia reale. La più definitiva contestazione della speranza è la morte: orizzonte che uccide i sogni e le attese, scoglio contro cui si infrangono promesse e amori.
   
   Per sperare è necessario che all'orizzonte appaia qualcuno che ha vinto l'invincibile morte, qualcuno che vincerà anche la mia, che mi salvi non dalla morte ma nella morte.
   Salvare vuol dire conservare. Dio conserva: il volo dei passeri, i capelli del capo (Mt 10,29-30), il bicchiere di acqua fresca (Mt 10,42), i tuoi amori e le tue lacrime, si fa geloso di ogni tua fibra (cfr. Sal 34,21). E nulla andrà perduto, non un gesto amante e neppure il più piccolo filo d'erba. Per l'abito da festa di quella virtù bambina [la speranza].
   
   La risposta alla contestazione della morte è la risurrezione. La fede nella risurrezione è il motore della mia speranza. -Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano- (1Cor 2,9). È fede o speranza il mio appoggiarmi a quest'ultima promessa? Tendo un orecchio che si lascia incantare, spalanco un occhio stupito come lo sguardo mattinale sul primo giorno del mondo, apro un cuore pieno d'amori, e tuttavia vergine, a qualcosa che supera ogni attesa. A un eccesso. A questo "di più" io mi affido, mi appoggio a cià che è dietro l'anima, dietro il corpo, dietro il cuore, vertigine che viene da Dio che è addizione e moltiplicazione dell'umano. Che salva ogni stupore.
   
   Perché la risurrezione inizia ora, con la mia lotta contro tutte le forme di morte. Cristo non è solo il Risorto, al passato, egli è un ininterrotto risorgere, il risorgente ogni giorni, risurrezione che accade ora nel cuore dell'essere. Tutto nel mondo è incamminato dietro al Vivente, tutto avanza verso la risurrezione: essa è come la legge di gravità universale che dà senso e direzione a tutte le cose.
   La risurrezione è esperienza quotidiana di ognuno, è alzarsi ogni giorno, chiamati dal futuro, combattendo la morte quotidiana dentro di noi, in lotta contro ciò che uccide o scolora la vita.
  
    La speranza ama le ripartenze al levar del sole.

tratto da "Il Mercato della Speranza" di Ermes Ronchi

mercoledì 5 giugno 2013

La mia prima promessa

Era un giorno come tanti altri
e, quel giorno, Lui passò.

L'11 di maggio del 2013 poteva essere un giorno come tanti altri ma non lo è stato. La settimana dal 7 all'11 maggio poteva essere una settimana come tante altre ma non lo è stata. In quei giorni abbiamo mangiato, riso, scherzato, giocato, urlato,lavorato e pregato. Le lodi, la passeggiata e la cucina la mattina; la zappa, il muro, la messa e i vespri la sera. Ma soprattutto abbiamo fatto tutto in modo tale da compensarci ogni attimo della giornata. Dove non poteva essere uno, c'era un'altro. Proprio come una famiglia! Famiglia, una delle tante parole di cui abusiamo costantemente. Che vuol dire far parte di una famiglia? Vuol dire forse abitare con altre persone che bene o male sono tuoi parenti? Io non penso che si riduca a questo. Il significato di famiglia per me rispecchia molto il detto: ”una mano lava l'altra ed entrambe lavano la faccia”, di cui il senso è molto chiaro! 
La promessa fatta l'11 maggio per me ha designato: ”mi impegno ad essere
parte di questa famiglia”, famiglia intesa come GiFra, famiglia intesa come Chiesa, famiglia intesa come corpo di Cristo dove tutti sono essenziali perché ne sono una parte; e :”mi impegno ad essere parte attiva di questa famiglia”, quindi non essere più cellula morta di Cristo. E vi posso giurare che il ritardo alla pronuncia della promessa mi è costato caro. Non so perché ma fino a che non ho pronunciato quelle parole mi è sembrato di essere esclusa da quella famiglia. Ho seguito poco la cerimonia della mia prima promessa a causa del lavoro ma tutto quello che c'è dietro si fa sentire e molto!
Katia

martedì 4 giugno 2013

il saluto del Vescovo Rodolfo alla diocesi

Ai sacerdoti
e a tutto il Popolo di Dio
della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza
Fratelli e Sorelle,
familiari miei di questi 13 anni, sacerdoti, religiosi, laici, conoscenti e amici, giovedì 9 maggio u.s., mi ha chiamato a Roma il Nunzio Apostolico e mi ha consegnato la lettera in cui mi comunicava che Papa Francesco mi aveva scelto come vescovo della Chiesa che è in Grosseto.
   
   Gli ho aperto il mio animo, dicendo tutte le mie perplessità, debolezze e difficoltà. L'ho fatto insistendo a lungo, ma, alla fine, non potevo dire di no a chi ha la responsabilità di queste scelte nella Chiesa.
   Questo sentire mi ha guidato qui 13 anni fa nel lasciare i miei frati di Fiesole di tutta la Toscana. Questo mi ha motivato nel chinare il capo e dire di sì accettando di fare questo nuovo passo.
   Ora mi pare un salto ancor più grande di quello del 2000, perché mi rendo più conto, per l'esperienza fatta in questi anni, della responsabilità di un Vescovo e vedo con maggior chiarezza quello che mi è chiesto di lasciare. Si possono cercare i motivi umani, fare mille ragionamenti... So che non basterebbero a spiegare completamente questo fatto.

    Con la fede debole che ho, continuo a credere che in questa vicenda il Signore Dio voglia condurre me, e anche voi, a "un rinnovato entusiasmo dell'incontro con Cristo" (Porta Fidei, 2).
   Ho ripetuto spesso, in questo Anno della Fede, questa frase di Papa Benedetto XVI, predicando e parlando agli altri. Ora è chiesto a me di fidarmi davvero e di affidarmi alla volontà della Chiesa.
   Chiedo a Dio, in Gesù suo Figlio nello Spirito Santo, che questo sia davvero il fine, il centro e la forza di tutta questa storia e della mia obbedienza.

    Da 13 anni sono voi, con ognuno e con tutti. Sono stati gli anni più carichi, impegnativi, veloci e lunghi della mia vita. Ognuno di voi, con intensità e gradualità diversa, ne è stato parte viva. Potevo essere molto più vicino a tante situazioni e persone.
    Voi mi siete stati attorno con affetto e condivisione. Molti, sacerdoti e laici, hanno accettato e condiviso responsabilità e rischi.
   
   Avrei potuto e dovuto essere molto più fedele ad ognuno, molto più dedito al servizio pastorale, generoso, amante di Dio e di ognuno... So con quali limiti anch'io convivo, non cerco scusanti e chiedo perdono.
   Ma so anche che il Signore va oltre ogni debolezza e meschineria e, se lo lasciamo operare in noi, Lui ci fa produrre molto frutto.

   Sono cosciente che qualcosa di buono lo abbiamo imparato a realizzare, insieme.
   Ringraziamo il Signore e custodiamo ogni buon seme. Nella Chiesa e nella vita c'è chi prepara il terreno, chi semina, chi irriga, chi pota, chi aiuta a maturare... chi raccoglie... Ognuno di noi ha vissuto o sta vivendo qualcuna di queste esperienze. E' stato un bel tratto di strada in cui il Buon Dio, attraverso l'impegno di tutti, ci ha condotto. E' stato ed è bello!
   Io sono stato trasferito altrove per continuare, ricominciando personalmente quasi da capo!
   Voi restate qui per proseguire, accogliendo questa novità inattesa e specialmente preparandovi a lavorare, ognuno con i suoi doni, con un nuovo Pastore.
   
   Per ora non sappiamo chi sarà, come lavorerà, quando verrà... A noi spetta prepararsi vigilanti, uniti e operativi. Questo sforzo sarà di grande aiuto per chiunque venga. Nel tempo che ci sta dinanzi ogni attività e iniziativa deve essere portata avanti con continuità, come possibile con l'aiuto di Dio.
   
   Da parte mia ho bisogno di sentirvi forti, anche se un po' meravigliati e forse sofferenti. "Forti, perché avete creduto e la Parola di Dio dimora in voi" (1Gv 3,14).
   Ho bisogno di pensarvi motivati nella fede e dalla fede. 
  Ho bisogno ancora della vostra amicizia, comunione e collaborazione. Ora questo si chiama continuità nell'impegno, fedeltà nella preghiere per me e per tutta la Chiesa.

  Con il mio affetto, ma mia gratitudine e la mia fiducia vi benedico,
con il saluto di sempre:
Il Signore vi dia Pace!
 † Rodolfo 

  Montepulciano, 28 Maggio 2013

giovedì 23 maggio 2013

Le Zanzare di Dio

di Andrea Torquato Giovanoli da costanzamiriano.com
Ecco: arriva l’estate qui in città, e con essa comincia lo sciamare delle zanzare.
E se c’è una specie animale che detesto è proprio quella di tali odiosi parassiti.
Massima comprensione per rondini, rane e pipistrelli che se ne nutrono, ma siccome anche di queste ultime specie oramai non c’è quasi più traccia, almeno qui in città (ed è forse giusto questo il guaio), si capisce bene che delle zanzare non c’è davvero più nessun bisogno.
Oltretutto si accaniscono sui bambini, le vigliacche, ed ogni volta che i miei amati pargoletti rientrano in casa mi tocca assistere al pietoso spettacolo di vederli sfregiati da bubboni ed arrossamenti in ogni brandello di pelle scoperta: le odio, posso?
So che non è bello, che come cristiano dovrei “francescanamente” amare tutti gli animali, perché anche le zanzare sono “creature del Signore”, ma proprio non mi riesce di soffocare la viscerale antipatia che provo nei loro confronti: sono intimamente convinto che questi detestabili succhiasangue alati siano la prova inconfutabile che la Creazione soggiaccia anch’essa al peccato adamitico.
Perché sono vere macchine del tormento: i vampiri almeno di giorno non se ne vanno in giro a far danni (sì, ok, tranne quelli della saga di twilight), le zanzare invece lavorano notte e dì, per tre stagioni su quattro, andando in “vacanza” proprio in quel periodo dell’anno in cui per il freddo si ricopre ogni centimetro di pelle e quindi, anche se ci fossero, non darebbero fastidio (e forse è proprio per questo che non ci sono).
Almeno, dico, si limitassero a succhiare quel goccino di sangue che gli serve e basta, uno potrebbe anche tollerarlo, mannò: sono tanto infingarde che ti inoculano il loro pruriginoso secreto anticoagulante, cosicché nemmeno volendo puoi far finta di niente, perché se il bubbone bianco aureolato di rosso che ti lasciano come marchio lo puoi ignorare, per non sfregarti convulsamente l’epidermide, invece, ci vuole un vero e proprio sforzo di volontà, tipo martire sulla grat(t)icola…
Le alternative sono tapparsi in ambienti sterili (e soffocanti), oppure cospargersi di cremine untuose e spray appiccicaticci (che, ne sono sicuro, sono tutti cancerogeni)!
Eppure tale insidioso insetto ha un che di familiare, no?
Mi ricorda, nel suo istintivo modo di vivere, proprio quella stessa natura ferita dal peccato che contraddistingue anche l’uomo redento: poiché invero, il fruitore di Eucaristia si comporta con Gesù proprio allo stesso modo.
Come la zanzara femmina punge la sua “preda” iniettando dapprima il suo liquido irritante e solo dopo ne sugge il sangue al fine di assicurare alle uova che porta in grembo il primo nutrimento per la schiusa, così pure il credente, nell’accostarsi al Cristo Eucaristico, lo ferisce con la puntura dei suoi peccati, gli inietta il tormentoso liquame delle sue colpe e si riempie in cambio della sua sostanza salvifica, così da poter poi “deporre” le sue opere nel mondo, ora vivificate dalla divina grazia.
Paragone disgustoso, ne convengo, ma il nocciolo del parallelismo mi pare si nasconda proprio qui: mentre il sottoscritto, se becca una zanzara in flagranza di “puntura” non ci pensa due volte a schiacciarla con una manata furente, Gesù, pur subendo un martirio ben peggiore per la nostra reiterata miseria, non batte ciglio, ma anzi si dona in pasto ogni volta alle turbe sciamanti di quelli come me, che come detestabilissimi parassiti, riconoscono che senza di Lui non possono vivere e perciò si artigliano al suo costato per succhiare la Misericordia che ne sgorga.
E non morire in eterno.

mercoledì 22 maggio 2013

E' il Signore!


Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!". Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare.”

Ho letto e ascoltato tante volte questo Vangelo e ho sempre visto la scena con molta facilità nella mente: un uomo lontano che chiama, Giovanni che scruta attentamente verso riva e alla fine risponde. Pietro che si volta velocemente, capisce anche lui quello che sta accadendo e in un batti baleno è in acqua, che annaspa verso riva. Mi ha sempre fatto un po’ sorridere anche: “Pietro non si smentisce mai…” è così, vuol fare tutto e subito, non sta troppo a pensarci, prende e si tuffa.

Ma se dopo i pensieri, quelli un po’ più superficiali, iniziamo a ragionarci meglio scopriamo che questo è il primo incontro tra Gesù e Pietro dopo un tradimento ribadito tre volte.

E adesso questo piccolo scorcio di Vangelo si apre in maniera diversa nella mente: un uomo lontano che chiama, Giovanni che scruta attentamente verso riva e alla fine risponde. Pietro che si volta velocemente , capisce quello che sta accadendo e ha paura.
La paura del giudizio, l’insicurezza, il senso di colpa: ti ho lasciato morire da solo. Ti ho lasciato morire, innocente.

Il primo collegamento elementare che mi è venuto da fare è quello con un altro tradimento. Giuda torna al tempio con i denari e li consegna ai sacerdoti, ha capito quello che ha fatto: “ho ucciso un uomo innocente”. ha paura. La paura del giudizio, l’insicurezza, il senso di colpa: ti ho lasciato morire da solo. Ti ho lasciato morire, innocente.

La differenza è che Giuda si lascia vincere dalla paura, che è cosa dell’Uomo (la vittoria estrema della paura sull’uomo, il suicidio). Pietro – e c’è un motivo perché è Pietro – no: in lui il seme dell’Amore piantato da Cristo è ben radicato. Ed è quel “tuffo” che ora prende tutto un altro sapore: la voglia di riabbracciare, la gioia di un nuovo incontro, il desiderio di perdono che sovrasta l’incertezza e la titubanza.

Ed è questo il miglior augurio che posso fare a dei giovani in cammino (me in primis)! Seneca diceva “anche se il timore avrà sempre più argomenti, scegli la speranza!”: che la paura del mondo, non vinca mai la Gioia di Dio.

E la Gioia di Dio è alimentata da promesse… quante volte il Vangelo ci fa promesse di felicità, di amore, di pace. E allora non fa più tanta paura il mettersi davanti al Signore (sapendo che veramente “E’ il Signore!”) e parlargli con voce sincera e pulita: promettiamo di avere l’Eucarestia, te stesso, al centro del nostro cuore; promettiamo di avere la tua Parola di Amore sulle nostre labbra per persone che ancora non la conoscono o non l’hanno capita; promettiamo di portare frutto nella nostra grande famiglia che è la Chiesa e promettiamo l’aiuto e l’amore a chi è meno fortunato di noi, a chi ci sta dietro e un po’ di speranza l’ha persa.

Non è né facile né scontato tutto questo, ci saranno errori e paure, eppure in questo impegno c’è una gioia così autentica e genuina!
Ecco cosa abbiamo fatto: ci siamo semplicemente messi in gioco, ci “abbiamo messo la faccia” e ci siamo impegnati ad essere cristiani Veri, che oggi come oggi è la cosa più importante!
Devo dirlo, anche adesso quando guardo il mio Tau – simbolo della mia personale promessa al Signore – mi sento proprio pronta a tuffarmi in qualsiasi lago! :D
Sara




lunedì 13 maggio 2013

Vogliamo essere...

Questa è la storia di un gruppo di giovani. Giovani qualsiasi, o forse no.
E' la storia di chi, negli anni che segneranno per sempre la loro vita, negli anni delle scelte, quelle che se non fai in questi anni non farai mai più, sono lì, a chiedersi, a chiedere dove "abiti", dove si trovi la loro felicità in questa vita.

Ed eccoli non soltanto a chiedersi, ma soprattutto a chiedere il senso della propria vita. A chi? A Colui che poi non così tanto tempo fa volle far loro il dono della vita, e che oggi viene loro incontro, nella quotidianità.
Questi giovani sono come tutti i giovani sono "in potenza", pieni di desideri, di sogni, con lo sguardo fisso al futuro, al domani. La loro esistenza è un fiorire di dubbi, di paure, ma anche di grande speranza.

Con il tempo e l'aiuto di chi ha imparato a camminare e ha scelto di donare la propria vita ai fratelli, imparano a guardare non solo "indietro per guardare avanti", ma anche in alto, all'Uomo che ha amato, e che ha amato veramente, "fino alla morte e alla morte di croce". E di lui si innamorano, lui cercano, lui bramano di imitare.

Non sono diversi dagli altri. Sono gli altri che mancano di coraggio, di domande, le grandi domande, mancano di desideri, mancano di vita. E loro desiderano, di imparare a viverla bene questa vita.
Questa fraternità segue Cristo povero e crocifisso sulle orme di San Francesco e di Santa Chiara di Assisi, o meglio, ci prova.. VUOLE farlo.
Francesco e Chiara gli vengono incontro, come due specchi di una chiesa che filtrano la luce divina, li aiutano con la loro vita a capire che per vivere una vita piena si deve essere semplici, amare Dio, il creato e gli altri partendo dalle piccole cose, dal basso.

Questa fraternità ogni anno, davanti al popolo di Dio, dice al Signore di voler essere una comunità di fede che ha l'Eucarestia come centro, il Vangelo come guida, la Chiesa come Madre e i poveri e gli ultimi come fratelli. 
"Voler essere". Non "che sarà".
E' questo che manca al mondo di oggi. La volontà, il voler essere. Il mondo pensa solo ad avere, ma questi ragazzi ci dicono che per loro è importante, hanno capito che è fondamentale essere, ed essere così. Cercatori di Dio.

In questa vita non vogliono essere "erranti", ma "pellegrini". L'errante è quello che va in giro tanto per andare, forse per vantarsi dei km percorsi e delle persone che ha incontrato. Il pellegrino ha qualcosa di più, un qualcosa che fa la differenza, la GRANDE differenza: la meta.
Questi giovani camminano, verso un luogo, verso una persona. Temono ogni giorno di perdere la strada, o di essere sulla strada sbagliata, ma camminano.

E allora, camminano guidati dallo Spirito... e camminano insieme, nella gioia di essere fratelli e figli dello stesso Padre.

Loro sanno di valere tanto, di non valere nulla di meno di tutto il sangue versato da quella croce.

Buon cammino ragazzi, fratelli. Il Signore è grande! E voi per me ne siete la palese dimostrazione.

P.S. E se perdete o credete di aver perso la stella, leggetevi queste poche righe di Edmond Rostand

Perdettero la Stella un giorno.
Come si fa a perdere la Stella?
Per averla troppo a lungo fissata...

I due Re bianchi, 
ch'erano due sapienti di Caldea,
tracciarono al suolo dei cerchi, col bastone.

Si misero a calcolare, si grattarono il mento...
Ma la Stella era svanita come svanisce un'idea.
E quegli uomini,
la cui anima aveva sete di essere guidata,
piansero innalzando le tende cotone.

Ma il povero Re nero, disprezzato dagli altri,
si disse: - Pensiamo alla sete che non è la nostra.
Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali-.

E mentre reggeva il suo secchio per l'ansa,
nello spicchio di cielo
in cui bevevano i cammelli
egli vide la Stella d'oro che danzava in silenzio.

I poveri come fratelli


dalla testimonianza di Mario Sberna, missionario per quattro anni in Brasile


Tempo fa mi trovavo nella capitale di un grande Paese impoverito. Mi avevano insegnato che con l’assistenzialismo non si risolvono i problemi dei poveri, per cui mi ero guardato bene dal favorire qualunque forma di assistenza fine a se stessa; l’imperativo era: “insegnare a pescare”!
Un giorno, al semaforo, una donna mi si avvicina con in braccio un bimbo e altri tre per mano. Il piccolo piangeva come un disperato!
“Ho fame” mi dice dal finestrino. Vedendo la sua giovane età le dico di cercarsi un lavoro.
“non ho terra da lavorare e non ho forza per lavorare”! Lì per lì, scocciato, mi viene la frase: “Dai almeno il seno al bimbo che hai in braccio, non senti che è disperato?” Mi risponde che non ha più latte. Io insisto, sapevo che in questo Paese le mamme allattavano i piccoli almeno un paio d’anni. Ma la sua risposta è sempre la stessa. La guardo con fare indispettito e impaziente.
Allora lei abbassa gli occhi e apre la sua camicia sporca e sgualcita e mostra il seno al bimbo che non aspettava altro: famelico si attacca e comincia a succhiare avidamente!
La donna fa un’espressione terribile, gli occhi cominciano a gonfiarsi e lasciar cadere grandi lacrime di disperazione e dolore. Solo allora guardo il seno e guardo il bimbo. E il mondo mi crolla addosso: il bimbo stava succhiando sangue. Sangue! Quella donna stava dando la sua stessa vita a suo figlio! Ho pianto anche io, sono sceso dalla macchina, ho abbracciato quella Sacra Famiglia incarnata davanti a me e ho capito, finalmente, il senso della mia missione. La nostra salvezza non consiste nel morire per Dio: Dio è già morto per noi e muore ogni giorno di fame, di sete, di freddo, di botte, di miseria, di malattia, di sacrificio, di disperazione. La nostra salvezza è correre incontro ai crocifissi della storia, qui, adesso: "lo vide e ne ebbe compassione" (Luca 10). La compassione non è assistenzialismo. La compassione non è nemmeno insegnare a pescare. La compassione è patire-con, è misericordia, è partecipazione alle sofferenze altrui.

giovedì 2 maggio 2013

27-28 aprile 2013 (La Verna).. IL NOSTRO CAPITOLO REGIONALE

Il Dio della speranza vi ricolmi di ogni GIOIA e pace nella FEDE, perché abbondiate nella SPERANZA per la virtù dello SPIRITO SANTO (da "Il Nostro Volto")
Con queste parole di benedizione e di speranza abbiamo lasciato il monte della Verna, lasciando nelle mani stimmatizzate di Francesco le tante attese, preoccupazioni, e i timori con cui eravamo saliti.

Un Capitolo elettivo rivela e svela tutta l'umanità che c'è in ognuno di noi, i progetti (pro-bono) che noi facciamo, e che il Signore subito provvede a "realizzare in maniera nuova", inattesa, e per questo bellissima. "...Chissà chi...", "...chissà come..." ecco le parole che sbattevano nella nostra fronte in quei momenti, andavano e venivano come le onde del mare nella spiaggia, e ci hanno accompagnato anche durante la preghiera in preparazione del momento elettivo. 


E poi ecco, alla Veglia della sera precedente al Capitolo, l'esempio e la testimonianza di Gesù, che ti fanno tornare tutte le cose nel loro ordine. Chi è chiamato a guidare gli altri, si faccia SERVO di tutti! E non si accontenti di un umile servizio, non sia un servo mesto, dimesso, ma faccia GESTI D'AMORE FOLLI! Dobbiamo essere audaci d'amore come Maria, la peccatrice, a casa di Simone, interrompiamo la routine della cena, usiamo tutto ciò che possediamo di più profumato e di più prezioso e laviamo i piedi del Signore, aggiungiamo anche le nostre lacrime, "caviamo la nostra anima dagli occhi", facciamolo davanti a tutti, senza vergogna, perchè chi ama "fa ciò che vuole" e sa di essere sempre nel giusto. SPRECHIAMOCI fino all'ultima goccia di nardo e riceveremo dal Signore, attraverso gli altri, un Amore "a perdere".. "A perdere", cioè come una cannella da cui esce sempre una goccia d'acqua, che non si stanca mai di riempire il recipiente sottostante. Fra Alessio, che ha avuto cura di tutti noi preparandoci la Veglia in Santuario, ha poi invitato il Presidente regionale uscente, Dario, a fare memoria di quel gesto folle, lavando i piedi a tutti i Presidenti locali delle fraternità GiFra della Toscana, mettendosi un grembiule. Proprio come aveva fatto Gesù prima di lui. Servo di tutti. La mattina dopo, iniziava il Capitolo elettivo, alcuni di quei piedi lavati in acqua e nardo sarebbero andati di fronte al Consiglio uscente ad accettare il nuovo mandato, di servire e guidare tutta la GiFra della regione Toscana, nei prossimi tre anni. 


A loro che sono stati eletti: Marcello, Riccardo, Chiara, Gabriele, Francesca, Francesco, Laura e Samantha, vanno il nostro Grazie e tutte le nostre Speranze.. 
Mi piace concludere con la preghiera con cui abbiamo chiuso il Capitolo domenica scorsa, leggendola tutti insieme. La Preghiera della Gioventù Francescana, che, nemmeno a farlo apposta, chiude anche "il Nostro Volto". 
Che sia il nostro punto di partenza... 

O dolce Signore Gesù, 
che sei la luce e la gioia della nostra vita. 
Donaci, ti preghiamo, lo Spirito di povertà che ci sottragga dalle cose vane del mondo; 
lo spirito di umiltà e di semplicità che ci liberi dalla schiavitù di noi stessi,
 il senso e la comprensione generosa della Croce che ci faccia amare soltanto Te, 
e tutto il resto uomini e cose, in Te e per Te. 
Soprattutto, o Signore, concedici di poter, nella purezza dell'anima e del corpo, 
seminare la gioia ovunque possiamo; 
lottare per il bene difficile contro il male facile;
 aiutare i nostri fratelli nei quali Tu sei presente; 
compiere ogni giorno un pò di bene e avvicinarci così sempre di più a Te. 
Guarda alle nostre anime aperte ai grandi orizzonti; 
ai nostri cuori pronti a donarsi ad ogni richiamo di bene; 
dacci la gioia di essere gli araldi del tuo pacifico regno. 
Noi te ne supplichiamo, o Signore, per la Madre tua e nostra, la Vergine Immacolata, 
per il dolcissimo Padre serafico 
che abbiamo scelto a guida del nostro cammino. 
Amen