venerdì 29 gennaio 2010

San Francesco, gigante della Santità





di Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle,

in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico "gigante" della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.

"Nacque al mondo un sole". Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano. Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: "Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina". Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.

Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.

In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai "mio", ma è sempre "nostro", che il Cristo non posso averlo "io" e ricostruire "io" contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.

E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.

Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.

Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa.

Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.

Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.

La morte di Francesco – il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.

È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche "il fratello di Gesù". In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna - Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali.

In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: "Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane" (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).

In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: "Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo" (Francesco di Assisi, Scritti, 399). Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.

Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.

Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!

Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: "Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro" (Francesco di Assisi, Scritti, 163).

martedì 19 gennaio 2010

ARRIVA ANCHE IN ITALIA IL FILM “BELLA”




Dal 26 gennaio proiezioni nelle sale cinematografiche

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Dopo aver raccolto grandi successi di critica e di pubblico negli Stati Uniti e nel mondo spagnolo e latino americano, il film “Bella” diretto dal regista messicano Alejandro Gomez Monteverde, interpretato e coprodotto da Eduardo Verástegui, arriva anche nelle sale d’Italia distribuito dalla Microcinema e dall’Acec (esercenti cattolici cinema)

Il film “Bella” è una perla nel panorama cinematografico mondiale. Un'opera poetica in cui si scopre e si racconta il senso degli umani destinati a compiere azioni di amore profondo. Un film che commuove e che tocca il cuore, che fa ridere e fa piangere. I dialoghi sono lenti, ma l’incedere della storia è appassionante.

La storia inizia con il giovane José, immigrato messicano negli Stati Uniti, che grazie al suo talento calcistico sta per andare a firmare un contratto con il Real Madrid. Con gioia, concitazione, allegria, Josè si comporta da sbruffone. Ma già la seconda scena inquadra lo stesso Josè triste con la barba incolta mentre fa il cuoco in un ristorante di New York.

Nel ristorante lavora anche Nina, una giovane ragazza che scopre di essere incinta e dopo tre giorni che non va a lavorare perchè preoccupata e indisposta, viene licenziata dal proprietario del ristorante.

Josè assiste alla scena del licenziamento e spinto da compassione segue Nina offrendogli la sua solidale fraternità.

Nina è disperata, senza soldi, senza marito, senza lavoro, è intenzionata a voler mettere fine alla gravidanza. Josè è contrario ma non esprime giudizi né ostilità e cerca di tirar fuori Nina dalla disperazione facendola sentire amata.

A questo punto la storia si intreccia con i genitori e i fratelli di Josè, con il racconto della vita di Nina, e con la scoperta di perchè Josè ha rinunciato a giocare a calcio ed è passato a fare il cuoco.

In questo intreccio di relazioni si scopre che ognuno soffre per problemi più o meno grandi, ma quello che vince è la decisione di ognuno di amare l’altro. E’ un trionfo dell’amore umano che si sviluppa intorno alla sorte di una bambina concepita.

Ne risulta un film che riempie il cuore perchè trionfa il bene e la bellezza della vita.

Nel film vengono affrontati temi come l’aborto, le relazioni tra persone, l’amore, la disperazione, il lavoro, la religione. Nessuno dei temi è affrontato con il nome proprio, ma tutti vengono risolti con l’amore fraterno.

Un film bellissimo, vero e originale perchè dimostra che si possono costruire storie eccellenti raccontando il bene e il buono. Che i cattolici sanno fare film d’autore e che il mondo ha un gran bisogno di storie belle.

Attore protagonista e coproduttore è Eduardo Verástegui, un messicano di 35 anni conosciuto come il “Brad Pitt dell’America latina”. Già cantante del gruppo di pop latino Kairo e fascinoso protagonista di soap opera, Verástegui insieme al regista Alejandro Monte Verde e il produttore Leo Severino, ha dato vita alla Metanoia films, una casa di produzione specializzata in pellicole che coltivano i valori della vita e della fede.

“Bella” è il primo prodotto di questa avventura nel mondo del cinema. Un’opera singolare girata in tre settimane con un budget di appena tre milioni di dollari, nel 2006 ha conquistato a sorpresa il prestigioso “People’s Choice Award” del Festival di Toronto, vincendo la concorrenza di The Departed di Martin Scorsese e The Queen di Stephen Frears.

Insieme ad un notevole successo di pubblico il film ha già ricevuto decine di lettere di donne che hanno rifiutato l’aborto dopo aver visto il film.

In Italia “Bella” è stato promosso e sostenuto dal Movimento per la Vita che ha fatto pressioni in ogni dove pur di farlo arrivare nelle sale italiane e sugli schermi della RAI.

A questo proposito Carlo Casini, presidente del MpV, ha detto: “Un film che vale molte e molte nostre conferenze”.

Nel corso di una intervista alla Radio Vaticana, Casini ha sottolineato che il messggio chiave del film è quello di "accogliere la vita perché se ne riceve sempre un bene; credere nella famiglia, perché è il luogo di accoglienza della vita e anche il luogo che esprime la dignità della vita, che manifesta che la vita è una cosa importante perché ne rivela la grandezza e la dignità. Ottimismo: essere ottimisti, non essere sempre sfiduciati; guardare al meglio, guardare al futuro anche quando non lo si conosce ... Sono tanti i fili conduttori: tutti convergono su questo discorso".

Il film “Bella” uscirà in contemporanea nazionale il giorno 26 gennaio prossimo nel cinema Aquila di Roma , nei cinema Gnomo o Palestrina di Milano, al cinema Eden di Genova, al cinema Piccolo di Bari, nella sala Agnelli di Torino, nel cinema Europa di Bologna, nel cinema MPX di Padova e nella sala Ecce di Firenze.(NB!!!!!!)

Questa è solo una lista iniziale perchè tutte le sale digitali MICROCINEMA e le sale ACEC sono state attivate per iniziare a programmare il film a partire dal 26 di gennaio.

Il film in formato DVD non è utilizzabile per “Home Video” ma tutte le sezioni locali o associazioni aderenti al MpV possono proiettarlo in sale cinematografiche, rivolgendosi agli uffici territoriali dell’ACEC (SAS) oppure all’ufficio MICROCINEMA di ROMA al n. 06/64760273.

sabato 9 gennaio 2010

La virtù della fortezza per iniziare un nuovo anno


“Preghiamo dunque per questo dono dello Spirito Santo che chiamiamo fortezza.

Quando all'uomo mancano le forze per superare se stesso, in vista di valori superiori, come la verità, la giustizia, la vocazione, la fedeltà matrimoniale, bisogna che questo "dono dall'alto" faccia di ciascuno di noi un uomo forte e, al momento giusto, ci dica "nell'intimo": coraggio!”


( Giovanni Paolo II, Novembre 1978)


Con il mese di gennaio siamo entrati nel nuovo anno 2010. Quale occasione migliore per parlare di quella grande virtù cristiana che è la fortezza? Essa è, per la nostra tradizione cristiana, una virtù cardinale. Le virtù cardinali (prudenza, fortezza, temperanza e giustizia) sono quelle virtù, che rendono la vita umana e cristiana una vita veramente degna di tale nome. Costituiscono come dei pilastri sui quali poggia l’esistenza intera, che trovano il loro senso pieno nel conseguimento del bene, anzi per noi cristiani, nel Bene che è Dio.

Nello specifico, la virtù della fortezza spinge l’uomo ad agire e ad operare le scelte della vita con la fermezza necessaria, nella costante ricerca del bene. Essa rende l’uomo capace di amare sul serio, di prendersi impegni che poi porterà a termine, di rispondere con prontezza al richiamo della giustizia, e di non tirarsi dietro di fronte al sacrificio; evita all’uomo la paura, la viltà, la pigrizia!

Per non soffermarci troppo sulla teoria, facciamo un esempio: l’omertà. Essa è uno dei tanti nomi della paura e si manifesta nell’atto di nascondere qualche cosa che altrimenti dovrebbe essere denunciato e reso pubblico, perché va contro la giustizia. La mafia, ad esempio, continua ad operare anche grazie all’omertà, cioè alla paura di uomini e donne di denunciare il sopruso, la truffa, la menzogna. In questi casi è proprio la virtù umana della fortezza ad essere in ogni caso necessaria. Ma anche nel nostro piccolo essa è indispensabile quando ci accorgiamo di menzogne, ingiustizie e bugie, magari perpetrate ai danni dei più deboli. Ma, cosa ci blocca? Forse la paura?

E’ vero. Spesso abbiamo paura. Difatti, dire fortezza significa parlare della paura: e tutti noi abbiamo momenti di paura, di angoscia e di ansia. Chi tra gli uomini non soffre, nel compiere il bene, tentazioni di ripugnanza, di disgusto? Chi non è talvolta incatenato dalla timidità, soprattutto in situazioni difficili da gestire? Sovente la paura ci frena nel compimento di ciò che sappiamo essere bene o giusto, e non ci permette di parlare. Noi in genere per mascherare queste situazioni scegliamo di usare i termini "perbenismo" e "rispetto umano"; ma si tratta, in realtà, di paura.

Come vincere la paura? Innanzitutto riconoscere di avere paura. Sembra scontato, ma non lo è. Il più delle volte siamo incapaci di farlo, perché amiamo far credere a noi stessi che ci bastiamo. Ma non è così: abbiamo bisogno degli altri e soprattutto abbiamo bisogno di Dio, perché siamo fragili e vulnerabili. Riconosciuto questo, possiamo chiedere aiuto agli altri e a Dio. A chi chiede con fede, il Signore concede la sua grazia. E soprattutto la grazia necessaria per esercitare la fortezza, che non è spavalderia, o uno sforzo eroico e audace, ma è un fiducioso abbandonarsi a Lui che solo ci dona la pace interiore, la distensione del cuore, per non soccombere davanti al peso delle fatiche.

La fortezza si esprime al meglio attraverso la resistenza, praticando la virtù cristiana della pazienza, e non nell'aggressività dell'attacco (si è forti perché si attacca). La grandezza d'animo del cristiano e la sua nobiltà si rivelano in una paziente fortezza. Questa è oggi quanto mai necessaria, soprattutto in una società come la nostra: molle, indecisa, paurosa, in cui ci si spaventa di fronte alla prima difficoltà, nello studio, nel lavoro, nella vita coniugale, nella vita comunitaria. La fortezza è quindi realmente la virtù di tutti i giorni, perché non c'è bene senza fortezza, non c'è giustizia senza questa capacità di reagire alla inevitabile fatica del quotidiano. Nella quotidianità si esprime la grandezza del cristiano, la sua capacità di sopportare, per amore e con la grazia di Dio, situazioni pesanti e ingrate.

Coraggio carissimi. Non stanchiamoci mai nel fare il bene, perché il Signore non tarderà di farci gustare i frutti delle nostre fatiche. E con il cuore vi auguro un buon inizio di questo nuovo anno. Che il Signore benedica i vostri propositi di bene.