giovedì 13 giugno 2013

PREGARE CON LA CARNE, NON CON LE IDEE!

Anche oggi conforta leggere i brani dell’omelia fatta a braccio da Papa Francesco nella messa mattutina a Santa Marta, divenuta un appuntamento quotidiano per molti. Parlando delle persone che vivono «nel sottosuolo dell’esistenza», in condizioni «al limite», e che hanno perso la speranza e commentando le Lettura del giorno che parlavano delle esperienze di Tobit e di Sara, due persone sofferenti, al limite della disperazione, il Papa ha detto:«Non bestemmiano, ma si lamentano… Lamentarsi davanti a Dio non è peccato».
Bergoglio ha quindi raccontato questo episodio: «Un prete, che io conosco, una volta ha detto a una donna che si lamentava davanti a Dio per le sue calamità: “Ma signora, quella è una forma di preghiera, vada avanti. Il Signore sente, ascolta i nostri lamenti”». Lamentarsi, ha spiegato, «è umano», anche perché «sono tante le persone in questo stato di sofferenza esistenziale».

Il Papa ha quindi parlato del brano evangelico di Marco, nel quale si racconta dei sadducei che interrogano Gesù sulla donna vedova di sette fratelli. I sadducei, ha detto il Pontefice, la presentavano come in «un laboratorio, tutto asettico, un caso di morale». Invece «quando noi parliamo di queste persone, che sono in situazioni al limite», dobbiamo farlo «con il cuore vicino a loro». Dobbiamo pensare «a questa gente, che soffre tanto, con il nostro cuore, con la nostra carne». E ha detto di non apprezzare «quando si parla di queste situazioni in maniera accademica e non umana», ricorrendo magari solo a statistiche.
«Nella Chiesa ci sono tante persone in questa situazione» e a chi chiede cosa si debba fare la risposta del Pontefice è «quello che dice Gesù: pregare, pregare per loro». Le persone che soffrono — ha aggiunto — «devono entrare nel mio cuore, devono essere un’inquietudine per me. Il mio fratello soffre, la mia sorella soffre; ecco il mistero della comunione dei santi. Pregare: Signore guarda quello, piange, soffre. Pregare, permettetemi di dirlo, con la carne». Pregare con la nostra carne, dunque, «non con le idee; pregare con il cuore» ha ribadito.

Fonte: Andrea Tornielli (http://2.andreatornielli.it/?p=6400)

giovedì 6 giugno 2013

La Grande Speranza

Scena di mercato (part. da Ecce Homo) di Pieter Aertsen (ca.1508-1575) Alte Pinakothek, Monaco

   Qualcosa contesta a fondo la speranza, e non è la fatica del vivere; qualcosa rinfaccia alla speranza di essere solo un'illusionista che fa giochi e proietta ombre sul muro della stanza, e non è il peso della storia reale. La più definitiva contestazione della speranza è la morte: orizzonte che uccide i sogni e le attese, scoglio contro cui si infrangono promesse e amori.
   
   Per sperare è necessario che all'orizzonte appaia qualcuno che ha vinto l'invincibile morte, qualcuno che vincerà anche la mia, che mi salvi non dalla morte ma nella morte.
   Salvare vuol dire conservare. Dio conserva: il volo dei passeri, i capelli del capo (Mt 10,29-30), il bicchiere di acqua fresca (Mt 10,42), i tuoi amori e le tue lacrime, si fa geloso di ogni tua fibra (cfr. Sal 34,21). E nulla andrà perduto, non un gesto amante e neppure il più piccolo filo d'erba. Per l'abito da festa di quella virtù bambina [la speranza].
   
   La risposta alla contestazione della morte è la risurrezione. La fede nella risurrezione è il motore della mia speranza. -Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano- (1Cor 2,9). È fede o speranza il mio appoggiarmi a quest'ultima promessa? Tendo un orecchio che si lascia incantare, spalanco un occhio stupito come lo sguardo mattinale sul primo giorno del mondo, apro un cuore pieno d'amori, e tuttavia vergine, a qualcosa che supera ogni attesa. A un eccesso. A questo "di più" io mi affido, mi appoggio a cià che è dietro l'anima, dietro il corpo, dietro il cuore, vertigine che viene da Dio che è addizione e moltiplicazione dell'umano. Che salva ogni stupore.
   
   Perché la risurrezione inizia ora, con la mia lotta contro tutte le forme di morte. Cristo non è solo il Risorto, al passato, egli è un ininterrotto risorgere, il risorgente ogni giorni, risurrezione che accade ora nel cuore dell'essere. Tutto nel mondo è incamminato dietro al Vivente, tutto avanza verso la risurrezione: essa è come la legge di gravità universale che dà senso e direzione a tutte le cose.
   La risurrezione è esperienza quotidiana di ognuno, è alzarsi ogni giorno, chiamati dal futuro, combattendo la morte quotidiana dentro di noi, in lotta contro ciò che uccide o scolora la vita.
  
    La speranza ama le ripartenze al levar del sole.

tratto da "Il Mercato della Speranza" di Ermes Ronchi

mercoledì 5 giugno 2013

La mia prima promessa

Era un giorno come tanti altri
e, quel giorno, Lui passò.

L'11 di maggio del 2013 poteva essere un giorno come tanti altri ma non lo è stato. La settimana dal 7 all'11 maggio poteva essere una settimana come tante altre ma non lo è stata. In quei giorni abbiamo mangiato, riso, scherzato, giocato, urlato,lavorato e pregato. Le lodi, la passeggiata e la cucina la mattina; la zappa, il muro, la messa e i vespri la sera. Ma soprattutto abbiamo fatto tutto in modo tale da compensarci ogni attimo della giornata. Dove non poteva essere uno, c'era un'altro. Proprio come una famiglia! Famiglia, una delle tante parole di cui abusiamo costantemente. Che vuol dire far parte di una famiglia? Vuol dire forse abitare con altre persone che bene o male sono tuoi parenti? Io non penso che si riduca a questo. Il significato di famiglia per me rispecchia molto il detto: ”una mano lava l'altra ed entrambe lavano la faccia”, di cui il senso è molto chiaro! 
La promessa fatta l'11 maggio per me ha designato: ”mi impegno ad essere
parte di questa famiglia”, famiglia intesa come GiFra, famiglia intesa come Chiesa, famiglia intesa come corpo di Cristo dove tutti sono essenziali perché ne sono una parte; e :”mi impegno ad essere parte attiva di questa famiglia”, quindi non essere più cellula morta di Cristo. E vi posso giurare che il ritardo alla pronuncia della promessa mi è costato caro. Non so perché ma fino a che non ho pronunciato quelle parole mi è sembrato di essere esclusa da quella famiglia. Ho seguito poco la cerimonia della mia prima promessa a causa del lavoro ma tutto quello che c'è dietro si fa sentire e molto!
Katia

martedì 4 giugno 2013

il saluto del Vescovo Rodolfo alla diocesi

Ai sacerdoti
e a tutto il Popolo di Dio
della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza
Fratelli e Sorelle,
familiari miei di questi 13 anni, sacerdoti, religiosi, laici, conoscenti e amici, giovedì 9 maggio u.s., mi ha chiamato a Roma il Nunzio Apostolico e mi ha consegnato la lettera in cui mi comunicava che Papa Francesco mi aveva scelto come vescovo della Chiesa che è in Grosseto.
   
   Gli ho aperto il mio animo, dicendo tutte le mie perplessità, debolezze e difficoltà. L'ho fatto insistendo a lungo, ma, alla fine, non potevo dire di no a chi ha la responsabilità di queste scelte nella Chiesa.
   Questo sentire mi ha guidato qui 13 anni fa nel lasciare i miei frati di Fiesole di tutta la Toscana. Questo mi ha motivato nel chinare il capo e dire di sì accettando di fare questo nuovo passo.
   Ora mi pare un salto ancor più grande di quello del 2000, perché mi rendo più conto, per l'esperienza fatta in questi anni, della responsabilità di un Vescovo e vedo con maggior chiarezza quello che mi è chiesto di lasciare. Si possono cercare i motivi umani, fare mille ragionamenti... So che non basterebbero a spiegare completamente questo fatto.

    Con la fede debole che ho, continuo a credere che in questa vicenda il Signore Dio voglia condurre me, e anche voi, a "un rinnovato entusiasmo dell'incontro con Cristo" (Porta Fidei, 2).
   Ho ripetuto spesso, in questo Anno della Fede, questa frase di Papa Benedetto XVI, predicando e parlando agli altri. Ora è chiesto a me di fidarmi davvero e di affidarmi alla volontà della Chiesa.
   Chiedo a Dio, in Gesù suo Figlio nello Spirito Santo, che questo sia davvero il fine, il centro e la forza di tutta questa storia e della mia obbedienza.

    Da 13 anni sono voi, con ognuno e con tutti. Sono stati gli anni più carichi, impegnativi, veloci e lunghi della mia vita. Ognuno di voi, con intensità e gradualità diversa, ne è stato parte viva. Potevo essere molto più vicino a tante situazioni e persone.
    Voi mi siete stati attorno con affetto e condivisione. Molti, sacerdoti e laici, hanno accettato e condiviso responsabilità e rischi.
   
   Avrei potuto e dovuto essere molto più fedele ad ognuno, molto più dedito al servizio pastorale, generoso, amante di Dio e di ognuno... So con quali limiti anch'io convivo, non cerco scusanti e chiedo perdono.
   Ma so anche che il Signore va oltre ogni debolezza e meschineria e, se lo lasciamo operare in noi, Lui ci fa produrre molto frutto.

   Sono cosciente che qualcosa di buono lo abbiamo imparato a realizzare, insieme.
   Ringraziamo il Signore e custodiamo ogni buon seme. Nella Chiesa e nella vita c'è chi prepara il terreno, chi semina, chi irriga, chi pota, chi aiuta a maturare... chi raccoglie... Ognuno di noi ha vissuto o sta vivendo qualcuna di queste esperienze. E' stato un bel tratto di strada in cui il Buon Dio, attraverso l'impegno di tutti, ci ha condotto. E' stato ed è bello!
   Io sono stato trasferito altrove per continuare, ricominciando personalmente quasi da capo!
   Voi restate qui per proseguire, accogliendo questa novità inattesa e specialmente preparandovi a lavorare, ognuno con i suoi doni, con un nuovo Pastore.
   
   Per ora non sappiamo chi sarà, come lavorerà, quando verrà... A noi spetta prepararsi vigilanti, uniti e operativi. Questo sforzo sarà di grande aiuto per chiunque venga. Nel tempo che ci sta dinanzi ogni attività e iniziativa deve essere portata avanti con continuità, come possibile con l'aiuto di Dio.
   
   Da parte mia ho bisogno di sentirvi forti, anche se un po' meravigliati e forse sofferenti. "Forti, perché avete creduto e la Parola di Dio dimora in voi" (1Gv 3,14).
   Ho bisogno di pensarvi motivati nella fede e dalla fede. 
  Ho bisogno ancora della vostra amicizia, comunione e collaborazione. Ora questo si chiama continuità nell'impegno, fedeltà nella preghiere per me e per tutta la Chiesa.

  Con il mio affetto, ma mia gratitudine e la mia fiducia vi benedico,
con il saluto di sempre:
Il Signore vi dia Pace!
 † Rodolfo 

  Montepulciano, 28 Maggio 2013