lunedì 7 febbraio 2011

Francesco e frate Lupo


Dietro alla storia del Lupo di Gubbio potrebbe non esserci solo una parabola agiografica o una facile metafora sulla conversione di un ladro, bensì il racconto di un fatto realmente accaduto.

Circa trecento anni fa al centro di Gubbio c'era un cantiere dove alcuni operai procedevano ad uno scavo.

Curiosamente la contrada in cui si scavava era chiamata "Morte del lupo".

Gli operai ad un certo punto rinvennero uno strano sarcofago con una croce incisa nel coperchio. La bara, troppo piccola per appartenere ad un uomo, fu creduta essere quella di un bambino, ma la sorpresa ci fu (e fu tanta) non appena fu aperta: nella cassa c'era lo scheletro di un canide, probabilmente una lupa.

Il pensiero, oggi come àllora, va al capitolo XXI dei Fioretti, di cui riporto alcuni stralci:


Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado d'Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce (...). E per paura di questo lupo (...) nessuno era ardito d'uscire fuori della terra. Per la qual cosa avendo compassione santo Francesco agli uomini della terra (...) facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori della terra egli co'suoi compagni, tutta la sua confidanza ponendo in Dio.
E dubitando gli altri di andare più oltre, santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dove era il lupo.
Ed ecco che (...) il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta; ed appressandosi a lui santo Francesco gli fa il segno della santissima croce, e chiamollo a sé e disse così: "Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona".
Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere.(...)
"Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu venga ora meco sanza dubitare di nulla, e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio". E il lupo ubbidiente se ne va con lui a modo d'uno agnello mansueto (...) di che ogni gente, maschi e femmine, grandi e piccioli, giovani e vecchi, traggono alla piazza a vedere il lupo con santo Francesco.

Il lupo, dopo essere stato ammansito, vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui, e fu nutricato cortesemente dalla gente, e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente dopo due anni frate lupo sì si morì di vecchiaia, di che li cittadini molto si dolsono, imperò che veggendolo andare così mansueto per la città, si raccordavano meglio della virtù e santità di santo Francesco.

Non si parla dunque della sepoltura di frate Lupo, ma il fatto che era ormai diventato il simbolo della città, potrebbe aver portato gli eugubini ad onorarlo, nel giorno della sua morte, con tutti gli onori funebri degni di un cristiano.
Se qualche scettico potrebbe obiettare che attenersi ai Fioretti non sia storicamente attendibile, perchè furono scritti a quasi un secolo di distanza dalla morte di Francesco, in piena esaltazione del santo neo-canonizzato, noi ad "onor di fonti" citiamo qui anche la Legenda Versificata, il primo poemetto a parlare di frate Lupo, scritto verso il 1230, e perciò praticamente coevo ai fatti che riporta (all'epoca san Francesco era morto da poco e i testimoni del miracolo di Gubbio erano presumibilmente ancora vivi).

Mancando i resti del lupo (il veterinario locale al quale furono affidati, li perse irrimediabilmente), viene meno anche la possibilità di un esame risolutivo sull'età dell'animale ritrovato sepolto in contrada Morte del lupo.

A chi invece le poche righe dei Fioretti bastano a farsi scaldare il cuore, a lasciarsi sorprendere e commuovere dal potere della fede-fiducia in Cristo Gesù, che agisce in tutti noi, anche e soprattutto nei fratelli animali, credo sia sufficiente sapere che il coperchio del sarcofago di frate Lupo è tutt'ora conservato nella chiesa di san Francesco della Pace, a Gubbio.

domenica 6 febbraio 2011

La vita buona del Vangelo

“La vita buona del Vangelo”


Noi religiosi siamo normalmente molto indaffarati e occupati, ma non è un’attività specifica lo scopo principale della nostra vita: coltiviamo i campi e curiamo le vigne, ma non siamo contadini, lavoriamo il ferro ma non siamo fabbri, insegniamo e offriamo formazione nelle scuole di ogni ordine e grado, ma non siamo professori, se abbiamo la responsabilità di un ospedale o di una missione, non siamo in primo luogo né medici o infermieri né missionari, lavoriamo con il mondo del disagio ma non siamo assistenti sociali. Noi religiosi non pensiamo di avere una missione o una funzione speciale, non vogliamo cambiare il corso e gli eventi della storia e del mondo, siamo semplicemente là dove siamo stati chiamati e posti. Secondo la chiamata che abbiamo ricevuto: seguire l’Agnello dovunque Egli vada. È proprio questa mancanza di obiettivi evidenti che dovrebbe rendere patente come solamente Dio sia la ragione d’essere, misteriosa, segreta e nascosta, della vita consacrata, attraverso la professione dei voti evangelici di povertà, castità ed obbedienza. Dio si manifesta come centro invisibile della nostra esistenza di consacrati, proprio in quanto non cerchiamo di fornire altra giustificazione di ciò che siamo.

Nel messaggio di questo anno dei Vescovi italiani ai religiosi, intitolato“Testimoni della vita buona del Vangelo”, i presuli mettono in evidenza la profonda valenza educativa della vita consacrata agli occhi del mondo, e di quello giovanile in particolar modo. Il mondo dei religiosi è sempre stato di stimolo all’ambito educativo perché ha ininterrottamente insistito nel suo voler cercare il vero e profondo senso di ciò che si vive, cercando di tradurre in scelte quotidiane e ordinarie le convinzioni più profonde che lo animavano, e tentando di non lasciarsi influenzare dal pensiero e dalla prassi della maggioranza quando questi si discostassero dalle vere e radicali esigenze del Vangelo di Cristo. E questo, nella storia, ha fatto sì che tanti religiosi diventassero modelli di riferimento e veri e propri educatori. Nella creatività dello Spirito e in obbedienza all’esempio e alla Parola di Cristo.

In un celebre passaggio dell’Evangelo di Marco viene riportata la domanda di un giovane desideroso di camminare nella strada della perfezione: “Maestro buono, che cosa devo fare per aver in eredità la vita eterna?” La domanda è diretta e Gesù non vi si sottrae. Ma prima di dare una risposta al giovane ed entusiasta interlocutore, lo sprona a non fermarsi alla superficie e gli pone una contro-domanda: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo”. In questo breve ma intenso passaggio risulta chiara una cosa: Gesù vuole suscitare nell’interlocutore la domanda circa i fondamenti della propria vita spirituale e soprattutto la sua qualità. Infatti, se il giovane pone di più l’attenzione sulla dimensione del fare (cosa devo fare?) Gesù lo porta sul piano dell’essere e nella fattispecie della bontà, cioè sul piano di Dio. Gesù da eccellente pedagogo, conduce il giovane alla edificazione delle fondamenta e va quindi al nocciolo della questione. La bontà di Dio è il cuore di tutto. In che cosa consiste questa bontà? È la stessa vita di Dio, è il Suo Vangelo, è il Suo Regno. Difatti il giovane riconosce che è Lui il Buono, il Buon Pastore. Ad immagine del Padre.

Allora, il sostanziale motivo per cui uomini e donne così numerosi, e tra loro così diversi, decidono di mettersi alla Sua sequela, è la chiara ed inequivocabile fiducia nella bontà di Dio. È l’esperienza e la percezione della bontà di Dio e della vita da Lui donata che suscita nel cuore del credente il desiderio che è a sua volta il motore di tutte le dimensioni della vita umana: affettiva, volitiva e razionale.

Come il giovane ricco, di evangelica memoria, anche noi abbiamo cercato e trovato Qualcuno che ci amasse e ci insegnasse in questo modo a desiderare. Gesù ci ha amorevolmente e pazientemente proposto il suo cammino e la sua via e noi lo seguiamo dovunque Egli vada, adempiendo così allo scopo della nostra chiamata: suscitare, negli uomini e nelle donne del nostro tempo, il desiderio di Dio e della Sua bontà. Nella vita buona del Vangelo.


fra David Gagrcic ofm