sabato 24 dicembre 2011

NATALE: LA STORIA RICOMINCIA DAGLI ULTIMI

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra (…) Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio (…) 
A Natale non celebriamo un ricordo, ma una profezia. Natale non è una festa sentimentale, ma il giudizio sul mondo e il nuovo ordinamento di tutte le cose. Quella notte il senso della storia ha imboccato un’altra direzione: Dio verso l’uomo, il grande verso il piccolo, dal cielo verso il basso, da una città verso una grotta, dal tempio a un campo di pastori. La storia ricomincia dagli ultimi. Mentre a Roma si decidono le sorti del mondo, mentre le legioni mantengono la pace con la spada, in questo meccanismo perfettamente oliato cade un granello di sabbia: nasce un bambino, sufficiente a mutare la direzione della storia. La nuova capitale del mondo è Betlemme. Lì Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia… nella greppia degli animali, che Maria nel suo bisogno legge come una culla. La stalla e la mangiatoia sono un “no” ai modelli mondani, un “no” alla fame di potere, un no al “così vanno le cose”.


Dio entra nel mondo dal punto più basso perché nessuna creatura sia più in basso, nessuno non raggiunto dal suo abbraccio che salva. Natale è il più grande atto di fede di Dio nell’umanità, affida il figlio alle mani di una ragazza inesperta e generosa, ha fede in lei. Maria si prende cura del neonato, lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Lo fa vivere con il suo abbraccio. Allo stesso modo, nell’incarnazione mai conclusa del Verbo, Dio vivrà sulla nostra terra solo se noi ci prendiamo cura di lui, come una madre, ogni giorno. C’erano in quella regione alcuni pastori… una nuvola di ali e di canto li avvolge. È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte…

È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio riparte da loro. 

Vanno e trovano un bambino. 
Lo guardano: i suoi occhi sono gli occhi di Dio, la sua fame è la fame di Dio, quelle manine che si tendono verso la madre, sono le mani di Dio tese verso di loro. Perché il Natale? Dio si è fatto uomo perché l’uomo si faccia Dio. Cristo nasce perché io nasca. La nascita di Gesù vuole la mia nascita: che io nasca diverso e nuovo, che nasca con lo Spirito di Dio in me. Natale è la riconsacrazione del corpo. La certezza che la nostra carne che Dio ha preso, amato, fatto sua, in qualche sua parte è santa, che la nostra storia in qualche sua pagina è sacra. Il creatore che aveva plasmato Adamo con la creta del suolo si fa lui stesso creta di questo nostro suolo. Il vasaio si fa argilla di una vaso fragile e bellissimo. 

E nessuno può dire: qui finisce l’uomo, qui comincia Dio, perché Creatore e creatura ormai si sono abbracciati. 
Ed è per sempre.


Mio Dio, mio Dio Bambino 
povero come l'amore 
piccolo come un piccolo d'uomo 
umile come la paglia dove sei nato. 

Mio piccolo Dio 
che impari a vivere questa nostra stessa vita 
che domandi attenzione e protezione 
che hai ansia di luce 
mio Dio incapace di difenderti 
e di aggredire e di fare del male 
mio Dio che vivi soltanto se sei amato 
che altro non sai fare che amare 
e domandare amore, 

insegnami che non c'è altro senso 
non c'è altro destino che diventare come Te 
carne intrisa di cielo, sillaba di Dio, 

come Te, che cingi per sempre in un abbraccio 
l'amarezza di ogni tua creatura 
malata di solitudine!



di Padre Ermes Ronchi

lunedì 19 dicembre 2011

Buona ultima settimana di Avvento!

"Così è l'amore: accade come un dono del cielo e poi il testimone passa a noi, chiedendoci il coraggio e la fatica di lasciarlo accadere, senza paura della nostra inadeguatezza."
A. D'Avenia


Lc 1,26-38.
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,
a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.


San Bernardo (1091-1153), monaco cistercense e dottore della Chiesa, 
Omelia su "Missus est" IV,8-9

«Non temere, Maria»



L'hai udito, o Vergine, tu concepirai e partorirai un figlio. L'hai udito: non sarà per opera di un uomo, ma per opera dello Spirito Santo.
L'Angelo attende la Tua risposta: deve ritornare a Dio, che l'ha inviato. Anche noi, nostra Signora, noi miserabili, sui quali pesa una sentenza di condanna, attendiamo la parola di misericordia.Ecco: Ti si offre il prezzo della nostra salvezza: accettalo e noi saremo liberati. Noi tutti siamo l'opera della Parola eterna di Dio, ma! dobbiamo morire. Pronuncia una parola e noi saremo richiamati alla vita... Vergine Maria,

affrettaTi a dare la tua risposta... O nostra Signora, pronuncia le parole che stanno aspettando la terra, l'inferno ed il cielo! Il Re e Signore di tutte le cose, anche Lui aspetta, con lo stesso ardore con il quale ha creato la Tua bellezza (Sal 44,12), il Tuo assenso, che ha messo come condizione alla salvezza del mondo.

Gli sei piaciuta per il tuo silenzio; 
ancor più ora gli piacerai per la tua parola.

Lui stesso da Lassù ti chiama: «O bellissima tra le donne, fammi sentire la tua voce» (Can 1,8; 2,14)... 

Sì, rispondi presto all'angelo, o meglio attraverso l'angelo rispondi al Signore. Rispondi una parola e accogli la Parola; pronuncia il tuo verbo e concepisci nel tuo grembo quello divino; lascia uscire la parola che passa e racchiudi in te quella eterna... "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto".


martedì 13 dicembre 2011

« Questa chiese Lucia in suo dimando / e disse: Or ha bisogno il tuo fedele / di te, ed io a te lo raccomando. / Lucia, nimica di ciascun crudele, / si mosse... » (Dante Alighieri, Inferno II, 92-96)

Dai «Discorsi» del beato Isacco della Stella, abate
Lo splendore dell'anima illumina la grazia del corpo
Mi rivolgo a te, che vieni dal popolo, dalla gente comune, ma appartiene alla schiera delle vergini. In te lo splendore dell'anima si irradia sulla grazia esteriore della persona. Per questo sei un'immagine fedele della Chiesa.
A te dico: chiusa nella tua stanza non cessare mai di tenere fisso il pensiero su Cristo, anche di notte. Anzi rimani ad ogni istante in attesa della sua visita. E' questo che desidera da te, per questo ti ha scelta. Egli entrerà se troverà aperta la tua porta. Sta' sicura, ha promesso di venire e non mancherà alla sua parola. Quando verrà, colui che hai cercato, abbraccialo, familiarizza con lui e sarai illuminata. Trattienilo, prega che non se ne vada presto, scongiuralo che non si allontani. Il Verbo di Dio infatti corre, non prova stanchezza, non è preso da negligenza. L'anima tua gli vada incontro sulla sua parola, e s'intrattenga poi sull'impronta lasciata dal suo divino parlare: egli passa via presto.
E la vergine da parte sua che cosa dice? «L'ho cercato ma non l'ho trovato; l'ho chiamato ma non mi ha risposto» (Ct 5, 6). Se così presto se n'è andato via, non credere che egli non sia contento di te che lo invocasti, lo pregasti, gli apristi la porta: spesso egli permette che siamo messi alla prova. Vedi che cosa dice nel Vangelo alle folle che lo pregavano di non andarsene: «Bisogna che io porti l'annunzio della parola di Dio anche ad altre città, poiché per questo sono stato mandato» (cfr. Lc 4, 43).
Ma anche se ti sembra che se ne sia andato, và a cercarlo ancora.
E' dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo. Anzi te l'ha già insegnato se ben comprendi ciò che leggi: «Avevo appena oltrepassato le guardie, quando trovai l'amato del mio cuore. L'ho stretto forte e non lo lascerò» (Ct 3, 4). Quali dunque i mezzi con cui trattenere Cristo? Non la violenza delle catene, non le strette delle funi, ma i vincoli della carità, i legami dello spirito. Lo trattiene l'amore dell'anima.
Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la sofferenza. E' più facile spesso trovarlo tra i supplizi del corpo, tra le mani dei persecutori. Lei dice: «Poco tempo era trascorso da quando le avevo oltrepassate». Infatti una volta libera dalle mani dei persecutori e vittoriosa sui poteri del male, subito, all'istante ti verrà incontro Cristo, né permetterà che si prolunghi la tua prova.
Colei che così cerca Cristo, che ha trovato Cristo, può dire: «L'ho stretto forte e non lo lascerò finché non lo abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice» (cfr. Ct 3, 4). Che cos'è la casa, la stanza di tua madre se non il santuario più intimo del tuo essere?
Custodisci questa casa, purificane l'interno. Divenuta perfettamente pulita, e non più inquinata da brutture di infedeltà, sorga quale casa spirituale, cementata con la pietra angolare, si innalzi in un sacerdozio santo, e lo Spirito Paraclito abiti in essa. Colei che cerca Cristo a questo modo, colei che così prega Cristo, non è abbandonata da lui, anzi riceve frequenti visite. Egli infatti è con noi fino alla fine del mondo.

***

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio
Seppellimento del corpo di Santa Lucia 
(Siracusa, 1608)



I personaggi sono spinti nella parte bassa della tela: con un drastico contrasto tra il dramma e la banalità di un lavoro faticoso, in primo piano due brutali becchini seminudi, scavano la fossa che sta per accogliere le spoglie della martire. Tutta la metà superiore del dipinto è un immenso, misterioso spazio vuoto solcato da una nicchia, che incombe e torreggia sopra gli uomini, come un silenzioso e arcano destino.


Un vescovo presiede la cerimonia funebre dell’inumazione della giovane santa, pianta silenziosamente da un gruppo di amici: dall’ombra spuntano l’alta mitria e la mano alzata in segno di benedizione.


In primo piano giganteggiano le figure rustiche di due seppellitori, che sembrano sollecitare il vescovo a fare in fretta per poter concludere il loro lavoro. Soprattutto quello di destra, con le carni abbronzate dal sole, la schiena muscolosa e il profilo in penombra, contrasta fortemente con il delicato esile corpo della martire.




Non si vedono sangue, ferite o segni del martirio e tuttavia il corpo esanime di Lucia comunica un senso di straziante pietà, trasmessa agli amici affranti.

Buona festa di Santa Lucia, un abbraccio fraterno

i gifrini di Sinalunga

venerdì 9 dicembre 2011

Ci si rinnova ragazzi!!!

E dopo due anni, rieccoci dunque al capitolo.
Domenica 4 dicembre abbiamo trascorso la giornata in fraternità; le lodi, la condivisone, il pranzo insieme ai frati (preparato dalla nostra racheluccia amorosa amorosuccia), un po' di svago, la messa e alla fine le elezioni.
Ma cosa è stato veramente? Un rinnovo vero e proprio.
Lo scorso mandato era partito con un po' di membri in meno, e ciò ha scosso e rallentato un po' tutti.
Ma nonostante tutto siamo riusciti ad andare avanti!!
Il tempo (e la provvidenza ) ci ha portato un po' di new entry; quest'ultimi sono stati molto preziosi, non per il numero, ma per la forza che ci hanno trasmesso, una forza talmente forte che ci ha portati alla fine ad un altro capitolo.
Ormai il numero conta poco, la sostanza è quella che conta, ed è quella che ci rende una bella anzi bellissima fraternità :).
Queste possono sembrare delle frasi già fatte, delle cose già dette, ma non esistono parole che descrivano a pieno l'entusiasmo che la nostra fraternità è riuscita a ritrovare nonostante i problemi.

La giornata di Domenica (soprattutto il momento della condivisone) è stata una conferma di quanto siamo importati singolarmente e insieme; non siamo una quantità, ma una fraternità.

Ed ora eccoci con un nuovo e bellissimo consiglio appena sfornato, Riccardo, Valentina e Tommaso.

Queste sono solo poche parole, ma cosa importa... aumenteranno nel corso di questo nuovo anno :)

Un augurio al nuovo consiglio dalla fraternità, ed un abbraccio clamoroso.

pace e bene







mercoledì 7 dicembre 2011

Maria secondo Chiara d'Assisi

Ogni giorno, Clara dedica lunghi momenti alla preghiera silenziosa. Guarda il Signore e si lasci guardare da lui. Quando ritrova le sue sorelle, il suo viso sembra loro più chiaro e più bello del sole e le sue parole sono riempite di una meravigliosa dolcezza.


Molto rapidamente, la vita evangelica di Clara seduce ed attira. Alcune comunità adottano la sua forma di vita ed altri si creano. I fratelli di Francesco che percorrono l'Europa, contribuiscono a quest'espansione. In 1234, Agnese, figlia del re della Boemia, fonda un monastero a Praga. Scrive parecchie volte a Clara per chiedergli consiglio. È l'inizio di una grande amicizia.
Santa Chiara di Assisi scrivendo ad Agnese di Praga, considerando il Cristo non può non soffermarsi sulla madre e sul suo ruolo nella storia salvifica e sul suo legame con noi:

"Voglio dire quel Figlio dell'Altissimo, che la Vergine ha partorito, senza cessare di essere vergine. Stringiti alla sua dolcissima Madre, la quale generò un Figlio tale che i cieli non potevano contenere (cf. 1 Re 8,27; 2Cr 2,5), eppure ella lo raccolse nel piccolo chiostro del suo santo seno e lo portò nel suo grembo verginale." Epistola ad sanctam Agnetem de Praga. Epistola III, § 17- 19

Tale grande prodigio, avvenuto in Maria, si realizza anche nell'anima del fedele:

"Sì, perché è assai chiaro che l'anima dell'uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla grazia di Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore (cfr 1 Re 8,27; 2Cr 2,5), l'anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno (cfr Gv 14,23), e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa verità che lo afferma: Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure l'amerò; e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora (Gv 14,21).
A quel modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, tu pure, seguendo le sue vestigia (cfr 1Pt 2,21), specialmente dell'umiltà e povertà di lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale. E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature sono contenute (cfr Sap 1,7; Col 1,17), e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri possessi transeunti di questo mondo."
 Epistola ad sanctam Agnetem de Praga, Epistola III, § 21-26

La collaborazione materna della Vergine continua nell'opera che Cristo ha affidato alla Chiesa e ad ogni singolo fedele, come dice Chiara ad Agnese :

"Per avvalermi delle parole medesime dell'Apostolo, ti stimo collaboratrice di Dio stesso e sostegno delle membra deboli e vacillanti del suo ineffabile Corpo." Epistola ad sanctam Agnetem de Praga, Epistola III, § 8

Come, dunque, Francesco è chiamato a risollevare la chiesa cadente, così lo è ogni persona che dona tutta la sua vita a Dio, il quale acquista un cuore di madre per vegliare sui propri fratelli e sorelle. Per Chiara è Cristo stesso che ha dimostrato per primo questa maternità compassionevole:

"Se, dunque, tale e così grande Signore, scendendo nel seno della Vergine, volle apparire nel mondo come uomo spregevole, bisognoso e povero (cfr 2Cor 8,9), affinché gli uomini che erano poverissimi e indigenti, affamati per l'eccessiva penuria del nutrimento celeste, divenissero in Lui ricchi col possesso dei reami celesti." Epistola ad sanctam Agnetem de Praga, Epistola I, § 19.

Egli, ancora oggi continua a scendere nell'interiorità di ogni anima che si fa simile a Maria, per elevarla dalla sua povertà alla dignità di figlia del Padre, madre del Figlio, sposa dello Spirito Santo. Maria è il punto essenziale di riferimento dell'anima che cerca Dio.



Ave, Signora, santa regina,
santa Madre di Dio, Maria,
che sei vergine fatta Chiesa
ed eletta dal santissimo Padre celeste,
che ti ha consacrata
insieme col santissimo suo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito;
Tu in cui fu ed è ogni pienezza
di grazia e ogni bene.
Ave, suo palazzo.
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
Ave, suo vestimento,
ave, sua ancella,
ave, sua Madre.
E ave, voi tutte, sante virtù,
che per grazia e lume dello Spirito Santo
siete infuse nei cuori dei fedeli,
affinché le rendiate,
di infedeli, fedeli a Dio.

giovedì 1 dicembre 2011

Da un'omelia di Paolo Curtaz

Marco inizia così il suo vangelo: "Inizio della buona notizia che è Gesù Cristo". 
Significa riprendere in mano la buona notizia che è Gesù, farla diventare concretezza nelle nostre scelte, danza per la nostra vita.


+ Dal Vangelo secondo Marco 1, 1-8

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

  


Come Giovanni il battezzatore possiamo diventare profeti di Dio, aiutarci ed aiutare i fratelli a preparare la strada a Dio. 
I profeti non predicono il futuro ma interpretano il presente, ci aiutano a leggere la nostra vita in una luce di fede, a indovinarne la novità, a capirne il senso.
 Non è difficile vivere, è impossibile se non capiamo per quale strana ragione siamo stati messi al mondo. Superata la tentazione dei sempre presenti idoli della nostra vita (immagine di sé, carriera, denaro) che falsamente pretendono di riempire il senso di infinito che ci abita, ci resta un vuoto immenso di senso da colmare, il bisogno assoluto di capire e che Dio solo può colmare. 
Molti vi hanno rinunciato, hanno abdicato a pensare, a vivere, travolti dalla quotidianità. Dio non si scoraggia e li/ci raggiunge proprio nella quotidianità, diventando uno di noi. Accogliamo la profezia del battezzatore e dei tanti profeti che camminano - mascherati da uomini comuni - in mezzo alle nostre città sbiadite.
Non lasciamo che la profezia abbandoni la Chiesa, comunità dei cercatori di Dio, ma che sia sempre presente, anche quando è scomoda.

Paolo Curtaz
 
***

Ci sembrava bello condividere con voi questa riflessione di Curtaz sul Vangelo di domenica prossima, seconda domenica di Avvento, anche perchè è uno spunto molto attuale ed importante anche per una fraternità come la nostra, che proprio domenica si accingerà ad eleggere il nuovo Presidente e il nuovo consiglio. 
Che questa Parola dunque possa accompagnare chi guiderà la nostra fraternità nel suo nuovo percorso, sempre seguendo le orme di Francesco, piccolo pellegrino nelle vie Signore.
Un abbraccio,

I gifrini di Sinalunga.

sabato 26 novembre 2011

Eppure lo hai fatto poco meno degli angeli..

"Attendere e Vegliare", da Padre Ermes Ronchi.

La parola Avvento, nell'accezione più diffusa, più che come "venuta", viene indicato come "Attesa".
L'Attesa dell'uomo per l'arrivo del Suo Adorabile.
Un Signore che si è fatto umile, che è venuto e che poi ha lasciato la Sua dimora in custodia all'uomo, dandogli stima. 
Questo tempo sarà per noi caratterizzato da due accezioni, due sono i nomi dell'Avvento: il primo è l'atteggiamento l'Attenzione.

Stare attenti significa "tendere verso", non vivere una vita distratta, usare gli occhi come strumento per discernere e scegliere. Il Profeta stesso dice "beato l'uomo dall'occhio penetrante", ciò significa che la persona che ci troviamo davanti deve entrare dentro di noi, noi ne dobbiamo guardare il volto, questa la porta attraverso cui entrare in comunione.

Il secondo nome è Vegliare, stare vigili, perchè c'è una prospettiva futura, è il vegliare di chi nella notte scruta le prime luci dell'alba, fare attenzione alle persone significa portarle dentro di noi e fare della loro storia la nostra storia, custodire il silenzio dell'incontro. Vegliare su tutto ciò che nasce, sui primi passi della luce e della pace. vegliare e fare attenzione ad ogni persona come ogni vera traccia di Dio.

Buona "Attesa"...



Gaetano Previati, "Maternità"




Amore dopo Amore

Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognun sorriderà al benvenuto dell'altro
e dirà: Siedi qui. Mangia.
amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino.Offri pane.Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. E' festa: la tua vita è in tavola.

Derek Walcott

domenica 20 novembre 2011

Santa Elisabetta d'Ungheria -Patrona del Terz'Ordine Francecsano-



Ecco Santa Elisabetta d'Ungheria raccontata da Benedetto XVI.....



ALCUNE NOTIZIE PER VOI.....

Figlia di Andrea, re d'Ungheria e di Gertrude, nobildonna di Merano, ebbe una vita breve. Nata nel 1207, fu promessa in moglie a Ludovico figlio ed erede del sovrano di Turingia. Sposa a quattordici anni, madre a quindici, restò vedova a 20. Il marito, Ludovico IV morì ad Otranto in attesa di imbarcarsi con Federico II per la crociata in Terra Santa. Elisabetta aveva tre figli. Dopo il primogenito Ermanno vennero al mondo due bambine: Sofia e Gertrude, quest'ultima data alla luce già orfana di padre. Alla morte del marito, Elisabetta si ritirò a Eisenach, poi nel castello di Pottenstein per scegliere infine come dimora una modesta casa di Marburgo dove fece edificare a proprie spese un ospedale, riducendosi in povertà. Iscrittasi al terz'ordine francescano, offrì tutta se stessa agli ultimi, visitando gli ammalati due volte al giorno, facendosi mendicante e attribuendosi sempre le mansioni più umili. La sua scelta di povertà scatenò la rabbia dei cognati che arrivarono a privarla dei figli. Morì a Marburgo, in Germania il 17 novembre 1231. È stata canonizzata da papa Gregorio IX nel 1235. (Avvenire)

Patronato: Infermieri, Società caritatevoli, Fornai, Ordine Francescano Secolare
Etimologia: Elisabetta = Dio è il mio giuramento, dall'ebraico
Emblema: Cesto di pane

sabato 12 novembre 2011

La nostra Missione al Popolo a Sinalunga..



...ma uno sguardo molto spesso
del tuo amore dà il riflesso
e tu hai guardato proprio me
E trovo libertà nel cercare la tua gioia
e provo ad andare più in là incontro ai miei fratelli
il mondo cambierà e cambierà la storia
se proviamo ad andare più in là incontro ai nostri fratelli...



Queste parole sono prese dal canto "Incontro ai nostri fratelli" di Fra Federico Russo, e noi gifrini crediamo che "raccontino" bene quello che è stata la missione al popolo che si è conclusa proprio ieri a Sinalunga.

E cioè, un INCONTRO con i fratelli, che arricchisce prima di tutto noi missionari. Quanti volti e quante storie abbiamo conosciuto in questi giorni, e tutto ciò è stato possibile 800 anni fa per Francesco di Assisi e lo è oggi per noi che seguiamo le sue orme, solo perché entrambi abbiamo Cristo come passepartout, che apre le porte di tutti i cuori, anche quelle con la serratura un pò più "arrugginita".




Non saremmo sinceri se dicessimo che tutti ci hanno accolto con il sorriso, o che tutti hanno accolto con gioia la parola che portavamo, ma noi prima di tutto vogliamo ringraziare per primi proprio quelli che ci hanno reso la missione un pò più "difficile", perché, come anche ci ricordava in questi giorni il Vangelo, noi siamo niente altro che "servi inutili", tutto ciò che facciamo, tutti i successi che otteniamo, non cerchiamoli dunque per vanagloria o per il nostro rendiconto personale, non attribuiamoci meriti che non sono nostri, ricordiamoci sempre che noi siamo i pennarelli colorati, ma l'inchiostro e il talento nel disegnare ce lo mette Lui!

Come non ricordare anche chi, pur non credendo in nessun Dio, si è voluto confrontare lo stesso con noi, e ha dato "pepe" alle nostre condivisioni..a chi ha aperto la sua casa per i nostri centri di ascolto, momenti di condivisione e di incontro davvero preziosi.

Grazie a chi ci ha "sfamato" con pranzi e cene luculliani (tanto da costringerci al brodino il venerdì a pranzo!!!)... grazie ai bambini delle scuole elementari e ai ragazzi delle medie, che con grande gioia ed entusiasmo ci hanno accompagnato nei balli e nei canti in questi giorni, e che hanno offerto con gratuità e con la stessa euforia il loro servizio anche quando si smetteva di ballare e cantare e si iniziava a ripulire tutti i saloni!!

Last but not least... GRAZIE di cuore a don Tonino, Fra Federico, Suor Simona, Fra Agostino, Fra Matteo, Fra Alessandro, Fra Francesco, Fra David, Fra Adriano, Fra Francesco Maria, al ministro provinciale o.f.m. toscana Fra Paolo, e a tutti i terziari di Sinalunga, Serena, Guglielmo, a tutti i gifrini di Firenze e san Romano che hanno partecipato allo spettacolo finale, ai sacerdoti che ci hanno accompagnato nella Santa Messa solenne di chiusura, al nostro Vescovo, S. E. Mons. Rodolfo Cetoloni, che ci ha guidato e sostenuto nella preghiera in questi giorni.

Un abbraccio fraterno, che il Signore vi doni la Sua Pace!
I gifrini di Sinalunga,

Riccardo, Tommaso, Rachele, Angelica, Silvia, Valentina e Matteo.




mercoledì 2 novembre 2011

Sinalunga - Missione al popolo 5-11 novembre 2011

“La Missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuova motivazione” (RM 2)

Le missioni al popolo costituiscono un momento forte di evangelizzazione, di “comunicazione” del Vangelo. Naturalmente, il modo di realizzarle rispetto al passato deve tener conto delle mutate situazioni socio-culturali e delle odierne esigenze pastorali. Fare la “missione”, quindi, non è solo mettere in piedi una serie di attività, ma far riscoprire ciò che la Chiesa è e deve essere: missionaria.

“L’evangelizzazione, innanzitutto! Essa deve diventare il vostro impegno prioritario e permanente. Davanti alle sfide del secolarismo e della scristianizzazione è necessario reagire con coraggio e insieme, con capacità innovativa, lucidità di analisi e fiducia nella forza dello Spirito santo…Il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente, ma della missione. E’ il tempo di proporre di nuovo, e prima di tutto, Gesù Cristo, il centro del Vangelo… Investite, dunque, valide energie pastorali…”
(Giovanni Paolo II, 27/10/2001).

Gli stessi Vescovi italiani in “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, hanno tracciato il cammino dei primi dieci anni della Chiesa, in questo terzo millennio, affermando che “il compito fondamentale della Chiesa è quello di comunicare il Vangelo… Il Vangelo è il più grande dono di cui dispongano i cristiani” (n.32).
Invitano ad “una conversione pastorale” (n.46), per giungere ad una “fede adulta e pensata” (n.50).

Lo aveva già affermato Paolo VI: “Le condizioni della società ci obbligano a rivedere i metodi, a cercare con ogni mezzo di studiare come portare all’uomo moderno il messaggio cristiano” (EN n.3, in EV 5, 1590).

E Giovanni Paolo II, ai religiosi: “L’urgenza della nuova evangelizzazione (…) esige che i religiosi, oggi come ieri (…) continuino ad essere all’avanguardia stessa della predicazione dando sempre testimonianza del Vangelo della salvezza” (V centenario dell’evangelizzazione del nuovo mondo, Ai religiosi e religiose dell’America Latina, 29/06/1990).

Le missioni al popolo sono una modalità specifica di annuncio straordinario della parola di Dio proclamata da evangelizzatori animati dalla forza dello Spirito e con mandato della Chiesa allo scopo di risvegliare e confermare la fede e di rivitalizzare la comunità cristiana.
Le missioni al Popolo hanno una lunga e feconda tradizione. Da molti secoli esse hanno svolto un prezioso servizio al risveglio della fede e della vita cristiana, portando frutti di rinnovamento, conversione e fervore. Esse rappresentano una forma e modalità specifica per realizzare l'essenziale vocazione della Chiesa a evangelizzare e operare un rinnovamento della vita di fede.

L'Esortazione Apostolica post-sinodale Catechesi tradendae rileva in proposito: "Le missioni tradizionali, spesso abbandonate troppo in fretta, e che sono insostituibili per un rinnovamento periodico e vigoroso della vita cristiana, bisogna appunto riprenderle e rinnovarle» (n. 47).
La missione fa sprigionare un insieme di energie umane e soprannaturali che nella pastorale ordinaria difficilmente vengono sollecitate. Nel nostro tempo in cui si avverte fortemente l'esigenza di una nuova evangelizzazione per ricostituire il tessuto cristiano delle comunità, le missioni al popolo costituiscono uno strumento da valorizzare sapientemente. 

È bene concepire la missione al popolo come un "evento straordinario" ma da innestarsi nella pastorale ordinaria per finalizzarla allo stile pastorale missionario.

Ricordiamoci infine la sola cosa importante:

...evangelizzare è sempre opera di Dio e due cose possono bloccarla: il peccato e la paura.
Il peccato è di dire: “non serve a nulla”.

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giovedì 27 ottobre 2011

Benedetto, oggi pellegrino ad Assisi per la pace

“Lo scopo è mostrare al mondo che esiste un’altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che appunto non sia il negoziato oppure il compromesso politico, ma venga invece dalla preghiera, seppure da parte di persone che professano diverse religioni."  
(Il Beato Giovanni Paolo II la domenica mattina del 27 ottobre davanti a tutti i 62 rappresentanti delle religioni nel mondo riuniti nella Basilica di Santa Maria degli Angeli)





Per celebrare questo importante (ed assolutamente rivoluzionario!) incontro che oggi si tiene ad Assisi, ci piace ricordare un'altra straordinaria lezione di pace e di diplomazia internazionale, che proprio il nostro Serafico Francesco ha dato a suo tempo in Terrasanta, e che forse ha ispirato Giovanni Paolo II a scegliere la sua Umbria come terreno di giustizia, di accoglienza e di pace per tutti i popoli.

 






Nell’ agosto 1219 San Francesco parte per la Terra Santa. Giunto a Damietta (un porto, in Egitto, che si affaccia sul Mar Mediterraneo, al delta del Nilo, circa 200 chilometri a nord del Cairo) trovò la città assediata dai Crociati. Con uno di quei gesti storici di cui era capace, cercò di dissuadere i suoi corregionali dal combattere, quindi si presentò spontaneamente davanti al sultano Malik-al-Kamil.


“Arrivati (S. Francesco e fra Illuminato) nell’accampamento dei Saraceni e introdotti alla presenza del Sultano, questi insisteva per capire se erano portatori du qualche messaggio oppure volevano farsi Saraceni. Risposero: ‘Noi siamo ambasciatriori del Signore nostro Gesu’ Cristo, e siamo venuti per salvare le anime, pronti a dimostrare con argomenti ifferutabili che nessuno può salvarsi se non con l’osservanza della legge cristiana’. E si dichiaravano disponibili a subire la morte per questa fede. Il Sultano, che era incline alla mitezza, li ascoltò con bontà. Poi convocò un’adunanza dei sacerdoti, dei periti della legge e di magnati del suo regno. Ma appena ebbe esposto il motivo di quella convocazione, uno di loro, a nome di tutti, rispose: ‘Molto imprudentemente ha agito colui che era tenuto di essere il difensore della nostra legge e doveva rispondere con la spada della vendetta contro gli avversari di essa, ed invece ha sopportato di concedere udienza a dei profanatori della legge, davanti a tante persone’.  E perciò lo scongiurarono, in forza della legge, a condannarli a morte”. E se ne andarono. (Fonti Francescane 2236)
Ma il Sultano disse ai cristiani: “Non sia mai ch’io condanni a morte voi che siete venuti per la mia vita”. Aggiunse che era disposto ad affidare a loro grandi possedimenti, se volevano rimanere con lui, e fece mettere davanti a loro lingotti d’oro e d’argento; ma essi rifiutarono tutto, protestando che erano venuti a cercare anime e non beni materiali. E, accompagnati da una scorta in nome del Sultano, poterono ritornare nell’accampamento cristiano. (Fonti Francescane 2237)

Commento di Padre Massimiliano Mizzi OFM Conv. di Assisi:
Qui vediamo che Francesco e’ andato dai Musulmani con mitezza e bontà e non con la spada dell’odio ma con rispetto come ad un fratello che gli vuole bene. E’andato con il messaggio dell’amore. Il Sultano l’ha capito subito questo. Ha capito che Francesco voleva solo il bene della sua anima non di soggiogarlo arrogantemente al cristianesimo. Il Sultano che, da parte sua ‘era incline alla mitezza’ l’ha capito subito e accettò di dialogare con Francesco e il loro dialogo era basato sul rispetto da tutte e due le parti che, nel dialogo, è una regola fondamentale .

Se Francesco fosse andato con l’arroganza dei Crociati, con l’odio e la vendetta, il Sultano l’avrebbe condannato a morte immediatamente secondo la legge coranica. Invece, contro il consiglio dei sacerdoti Musulmani e degli esperti della legge, l’ha ascoltato volentieri e voleva tenere Francesco con se e riempirlo di possedimenti, d’oro e d’argento.

Un’ altra cosa da notare è che Francesco era pronto a subire la morte piuttosto che usare violenza con il dissidente. Non ha nemmeno minacciato l’altro se non accettava la sua tesi ma ha rispettato la libertà di coscienza dell’altro, regola sacrosanta per chi vuole vivere in pace con l’avversario. 

lunedì 24 ottobre 2011

Le Clarisse sullo spirito d'assisi


Per metterci "in ascolto" di Dio...

 (Dal Colloquio Interiore di Suor Maria della Trinità,
clarissa di Gerusalemme e serva di Dio)




“Vorrei che ogni anima comprendesse che mi è cara in una maniera unica;
 – che ha il suo proprio posto nel mio Cuore che nessun’altra può occupare; che ha la sua missione propria che nessun’altra compirà come lei. Se si rifiuta, ciò che avrebbe potuto fare lei, non si farà. – Scrivilo.

Vorrei che ogni anima comprendesse che il mio amore onnipotente trasforma ciò che mi date, e ne trae delle meraviglie per l’eternità.
Ma se non mi date ciò che è lasciato alla vostra libera generosità, io, che posso creare dei mondi, non posso fare ciò che è stato affidato alla vostra iniziativa, se mi rifiutate la vostra collaborazione umana. Scrivilo.
Vorrei che ogni anima comprendesse quanto il proprio destino è grande e unico. Scrivilo.
Se ogni anima religiosa comprendesse che il mio amore ha bisogno di lei, che io l’attendo nell’ombra e nel silenzio dell’anima sua per vivere con lei una vita segreta tutta interiore, sarebbe felice pienamente.
...
Mi faccio così piccolo, sono così vicino a voi… ma non si vuol credere che la mia divinità si nasconde sotto le apparenze che scelgo; e mentre l’anima mi passa accanto senza vedermi, soffre del suo isolamento; cerca nelle creature le gioie di cui non può fare a meno e che le creature non possono darle pienamente. L’anima che mi ha trovato in sé, ha la sua pienezza e accoglie il mio Spirito; mi ascolta e non tende che ad ascoltarmi e a ricevermi. Allora tutto le diviene utile e utilizzabile, tutto le diviene prezioso, – tutto diviene per lei dono di Dio e vita.
Ah! se ogni anima lo capisse! Scrivilo”.
....
Scrivi però ciò che può essere utile ad altre anime per semplificare la loro pietà e insegnare loro ad attingere direttamente alla sorgente che sta in loro stesse, io in loro, con le mie esigenze e la mia prodigalità… Se esse mi comprendessero! quante anime utilizzerebbero meglio i loro sforzi e le capacità che hanno di amore e di generosità che restano latenti; esse le ignorano e non si sa risvegliarle in loro.

 La forza dell’abitudine ha spento il fuoco interiore delle mie parole.Vorrei che ogni anima comprendesse che ha il suo posto unico nel mio Cuore che l’aspetta; che il suo amore mi è necessario, e la sua collaborazione pure; – che mi è necessario vederla felice e perfetta, – perché l’ho amata fino a morire sulla croce per essa; – sì, per ogni anima.
Vorrei che ogni anima comprendesse che ha una ragione di vivere fuori di sé più grande di lei.. affinché la mia creazione si realizzi nella sua pienezza.
Vorrei che ogni anima nella chiarezza dell’ordine e nel silenzio scoprisse che io sono là nel cuore del suo cuore, aspettandola, pronto a conversare con lei.
Quando vedo che un’anima mi ascolta e che conserverà le mie parole, allora le parlo. Ciascun’anima se volesse…”.
“Sì, sii la mia piccola semente...
Lasciami fare. Ma che la tua obbedienza sia perfetta, come la semente abbandonata alla mia azione.
Tu sai che il chicco di grano deve morire per dare il suo frutto”

giovedì 20 ottobre 2011

22 Ottobre 2011: "Pellegrini della Pace”










Per le strade di Firenze si farà una Marcia silenziosa che partirà alle 16.30 da Monte alle Croci e che poi toccherà la Chiesa San Nicolò, attraverso il Ponte alle Grazie per arrivare quindi a Santa Croce, dove ci sarà una Veglia di preghiera organizzata dai laici francescani di Firenze cui seguirà un sobrio pasto il cui ricavato andrà a favore dell’Associazione Rondine, Cittadella della Pace.

Siete tutti invitati!!!


www.spiritoassisi.it


martedì 4 ottobre 2011

Prometti a te stesso...

Un piccolo pensiero, una poesia, per iniziare con il giusto Spirito il nuovo anno fraterno...
che l'esempio e la luce del nostro Serafico Padre ci orienti sempre,
buona festa di San Francesco d'Assisi a tutti!!


Prometti a te stesso...


Prometti a te stesso di essere così forte
che nulla potrà disturbare
la serenità della tua mente.


Prometti a te stesso di parlare di bontà,
bellezza, amore ad ogni persona che incontri;
di far sentire a tutti i tuoi amici
che c'è qualcosa di grande il loro;
di guardare al lato bello di ogni cosa
e di lottare perché il tuo ottimismo diventi realtà.


Prometti a te stesso di pensare solo al meglio, di lavorare solo per il meglio;
di essere entusiasta del successo degli altri
come lo sei del tuo.


Prometti a te stesso di dimenticare gli errori del passato
per guardare a quanto di grande puoi fare in futuro;
di essere sereno in ogni circostanza
e di regalare un sorriso ad ogni creatura che incontri;
di dedicare così tanto tempo a migliorare il tuo carattere
da non avere tempo per criticare gli altri.


Prometti a te stesso
di essere troppo nobile per l’ira,
troppo forte per la paura,
troppo felice per lasciarti vincere dal dolore.

                                   Christian L. Larson



lunedì 26 settembre 2011

L'AMORE FRATERNO - Don Divo Barsotti

Venezia (28-29 marzo 1958)

Di fatto, l'uomo, se si ferma in se stesso, come può parlare di Dio? 

Se vuole avere come prova dell'azione divina quello che egli sente o vede o gusta nell'intimo, come può essere certo di un'azione divina? L'origine divina vuol dire risalire a un principio che non è in noi, ma fuori di noi. Non può essere mai criterio di assoluta certezza di operazione divina quello che l'anima prova in se stessa; nessuna gioia che l'anima prova in sé può esser segno, nessuna pace o dilatazione interiore, nulla di quello che l'anima vive in se stessa, perché fintanto che l'anima vive in sé non tocca Dio - l'anima deve uscire da sé per incontrarsi con Colui che veramente essa non può comprendere né abbracciare, per arrivare a Colui che sempre la trascende. Dio che è principio di operazioni nell'anima è un principio però che è al di fuori dell'anima stessa. Si può dire, sì, che Dio è un principio più intimo a noi di noi stessi, ma di un'intimità che lascia immutata la sua trascendenza, lascia immutato cioè il balzo necessario fra la creatura e il Creatore: fra la creatura e il Creatore rimane un abisso.

Uno è il segno fondamentale e più certo dell'azione dello Spirito nell'anima nostra, e senza questo tutti gli altri segni non possono darci certezza, dare garanzia all'anima di una origine divina.
Qual è questo segno?


È l'amore per il prossimo.



La carità cristiana, sia che si diriga verso il prossimo, sia che si diriga verso un figlio, rimane sempre vita di Dio nell'anima, una manifestazione, una prova di una nostra partecipazione alla vita di Dio, perché Dio è l'Amore; e se amiamo di questo amore soprannaturale, è Dio che ama in noi.
Molto spesso si dice di amare il prossimo per Iddio. Ora, molti laici non accettano questo amore. La ripugnanza che provano i laici e i laicisti per la carità cristiana è giusta? È giusta perché noi presentiamo la carità verso il prossimo in un modo che non è cristiano. Noi dobbiamo servirci delle cose per giungere a Dio, tutte le creature sono mezzo all'unione, sono mezzo al raggiungimento di Dio, ma il prossimo non è un mezzo, non lo è nemmeno nei riguardi di Dio. Nella vita futura non soltanto ameremo Dio, il nostro rapporto con Lui non sarà un rapporto così personale da essere anche segreto; ma in questa vita noi realizzeremo la nostra unione con Dio nella misura che realizzeremo l'unione con tutta la Chiesa. La vita futura si presenta nel dogma cattolico sotto il segno della Chiesa trionfante.
Questo ci dice che il prossimo,anche nella carità, non è un mezzo per raggiungere Dio, rimane un fine. Io amo ciascuno unicamente per quello che ciascuno è: per quello che ciascuno dovrebbe essere fintanto che viviamo quaggiù sulla terra, per quello che ciascuno è quando saremo giunti nel Cielo. Poiché devo amare ciascuno per quello che deve essere, non posso fare differenza nell'amore, perché ciascuno di noi è chiamato all'unione divina e a trasformarsi nel Cristo. Anche se uno è cattivo, anche se uno è non soltanto fuori dalla Chiesa, ma contro la Chiesa, io debbo amarlo ugualmente, perché fintanto vive quaggiù può venire anche per lui la conversione e la salvezza, devo vedere che Cristo è morto per redimerlo, per salvarlo, devo vedere che Cristo lo vuole salvo.
L'amore del nostro prossimo ha dunque un valore di fine. Le virtù morali (la purezza, l'obbedienza, l'umiltà) sono sempre un mezzo: noi siamo obbedienti, siamo umili, siamo casti unicamente perché queste virtù sono condizione alla vita divina, al possesso di Dio. L'amore del prossimo, invece, ha ragione di fine: io lo amo perché lo amo, non pretendo nulla, non pretendo che il prossimo debba servire a me, ma mi dono totalmente a ciascuno dei miei fratelli.
Ora, ecco quello che importa quando si parla di amore del prossimo: dobbiamo considerare non soltanto che questo amore ha carattere di fine, devo considerare l'oggetto di questo amore e anche le proprietà di questo amore che, oltre che avere ragione di fine, esige dall'uomo il dono totale.
Quando una cosa è mezzo può servirmi soltanto nella misura che mi serve: io non posso portare, per esempio, la purezza troppo oltre, per non nuocere ai rapporti col prossimo - se io per voler essere fedele alla castità, alla purezza, volessi rompere qualunque mio rapporto con i fratelli, praticamente non sarei più virtuoso, la mia purezza sarebbe contro la carità, mi allontanerebbe da Dio. È sempre un difetto se si amano queste virtù eccessivamente, sì che non siamo più mezzo per l'amore, ma un ostacolo alla carità, come può essere una purezza che irrigidisce, che raffredda i rapporti.
In questa materia ci sono delle concezioni molto sbagliate fra i cristiani: è difetto , come mancare alla purezza, così il volerla perseguire a dispetto della carità. In tanti sacerdoti, in tante suore, proprio per un culto della verginità, c'è un disprezzo del matrimonio, del rapporto dell'uomo con la donna - quante volte l'ho sentito io da anime religiose! Non è cristiano un culto della purezza che venga a misconoscere la grandezza e la dignità del Sacramento del Matrimonio; così un'umiltà che porti alla servilità nei rapporti verso gli altri non è Cristianesimo.
Il cristiano rimane cristiano, riamane figlio di Dio, umile sì, ma anche consapevole della propria grandezza. Le virtù morali sono mezzo; essendo mezzo io debbo usarne nella misura che queste virtù contribuiscono ad alimentare in me l'amore. Solo la fede, la speranza e la carità non conoscono mai un eccesso - ci può essere un eccesso nella credulità, non nella fede. Credulità vuol dire credere tante cose; fede vuol dire credere soltanto nella parola di Dio. Quando tu credi alla parola di Dio mai la tua fede può essere troppa. È Dio che ti parla, di fronte a Lui mai tu puoi avere dei diritti di indipendenza.
Così è per quello che riguarda la speranza. Mai tu puoi avere ragione di dubitare della divina parola; puoi dubitare di te, dubitare di meritare l'adempimento di queste promesse, non della fedeltà di Dio alla parola che Egli ha dato. La tua speranza può essere sempre più certa, sempre più viva, sempre più profonda.
Ma la proprietà dell'amore per il prossimo è questa: è virtù teologale, non è virtù morale, non ci sono limiti all'amore del prossimo. Di fatto, l'amore del prossimo può conoscere soltanto una misura, quella della nostra morte. Tu puoi dire di aver adempiuto la legge cristiana quando sei morto per l'ultimo brigante che esiste quaggiù sulla terra, quando hai dato tutto al tuo prossimo, anche il più lontano. Nel Cristianesimo tu non ami gli altri in forza dei loro meriti, in forza della loro dignità, delle loro virtù, ma in quanto una vocazione divina che è universale chiama tutti e ciascuno alla salvezza. Perciò il tuo amore non ha limiti; non soltanto non può aver limiti riguardo alle persone - deve rivolgersi a tutti - ma non può avere nemmeno misura da parte tua; cioè, essendo esso una virtù teologale, tu devi essere disposto a donare tutto, e non soltanto quello che hai, ma anche il tuo corpo, impegnare la tua stessa anima.
L'amore del prossimo raggiunge la sua manifestazione più alta (non parlo di Cristo, ma dei santi) nella preghiera di Mosè e nelle preghiera di Paolo: "Desideravo essere io anatema per i miei fratelli" - "O salva il mio popolo o cancella anche me dal libro della vita". L'amore del prossimo giunge anche a questo: a compromettere in qualche modo, naturalmente per amore ( e allora l'amore non comprometterà nulla perché l'amore ti salva), almeno per la nostra esperienza umana, la nostra stessa salvezza eterna, cioè la nostra anima per la salvezza degli altri. Come si diceva questo atto è assurdo, perché se tu lo fai per amore non comprometti nulla, anzi è proprio quell'amore che manifesta che Dio vive in te, perché proprio in questa preghiera di Paolo si manifesta che vive il lui Cristo Signore e tutto il Paradiso vive nel suo cuore - invece di condannarlo queste parole lo fanno entrare diritto in Cielo, perché è l'amore puro, l'amore perfetto che in queste parole si manifesta.
Paolo non le dice per scherzo: tanto ama che sarebbe disposto a sacrificare la sua felicità personale anche eterna per la felicità del popolo suo. Non si può sentire diviso da quelli che ama.
Qui le esigenze dell'amore del prossimo si manifestano certo estreme: dare tutto, ecco quello che importa l'amore del prossimo. È amore teologale. Tu puoi crescere giorno per giorno nell'amore del prossimo senza mai temere di andare oltre il giusto - non c'è giusto, qui, non c'è un limite di giustizia: l'amore vince la giustizia, super qualunque limite. Non puoi amare troppo.
Certo questo amore non è eros, non è desiderio: si ama anche fra gli uomini, ma l'amore umano è desiderio, è amore di concupiscenza, si ama sempre con qualche intento egoistico, si ama sempre per noi. Amore umano vuol dire attrarre a sé gli altri, anche nella propria famiglia, sentirsi bene con questi; si ama perché c'è negli altri qualche cosa che richiama il nostro amore: perché sono belli, ricchi, colti - si ama per qualche cosa, per trarre un beneficio da questo amore.
Non così è l'amore teologale. L'amore teologale è quell'amore di Dio che è agàpe, cioè amore non soltanto universale, ma preveniente e gratuito, perché è un amore che non conosce un motivo, ma previene qualsiasi motivo. È l'amore di Dio che ci ha amato quando ancora non eravamo. Perché ci ha amato, ci ha creato - ci ha amati dunque prima che fossimo. Non poteva amare in me nulla che potesse attrarre il suo amore: non ero ancora. Amore preveniente contro anche un Nietzsche, il quale dice che l'amore cristiano per il prossimo è in fondo amore di risentimento, è la reazione del debole di fronte al forte. I forti, i violenti opprimono - il cristiano che non ha la forza, che è un povero schiavo, in che modo reagisce alle sferzate, alle persecuzioni? Con l'amore. Ma è un modo di reagire, dice Nietzche. Non è invece un modo di reagire perché chi ama, nel Cristianesimo, ama prima ancora di essere perseguitato, prima di essere amato. Io non amo perché sono amato o perché sono odiato - amo precedentemente a tutto, il mio amore non è una reazione né una risposta. Quando si ama Dio è sempre una risposta, perché Dio ci ha amati per primo, come dice San Giovanni. Quando amiamo cristianamente il prossimo non amiamo mai in risposta di quello che riceviamo da lui, né lo amiamo perché siamo odiati o perché siamo amati: lo amiamo come noi stessi, senza misura, perché se il mio amore è teologale non metto una misura al mio amore per il prossimo, lo amo sempre per nulla, senza pretendere nulla. Non è un trarre a me gli altri, è un donarmi a loro. Come l'amore di Dio: agàpe, dono di sé. Chi è il nostro prossimo? Tutti gli uomini senza distinzioni, perché tutti gli uomini Dio vuole salvi.
L'amore fraterno non è davvero qualcosa di diverso dall'amore del prossimo: è sempre questo amore teologale, ha certo sempre i medesimi caratteri. Ma ha anche qualcosa di diverso.
L'amore del prossimo di per sé non intende la risposta, la reciprocità dell'amore. Io posso e debbo amare anche il più grande farabutto - compromettere anche la mia stessa salvezza eterna, donare tutte le mie cose, il mio corpo, la fatica, compromettere la mia stima... ma non è detto che questo mio amore sia corrisposto, può darsi anche che io ottenga come risultato di essere perseguitato o anche ucciso. Non c'è davvero amore reciproco qui. Ma nella Chiesa l'amore del prossimo esige l'amore reciproco, perché non soltanto sono io cristiano che amo, ma amo un cristiano il quale deve amarmi. L'amore diviene reciproco. Il pericolo dell'amore reciproco è che esso diventi naturale ed umano, che si ami cioè nella misura che siamo amati. Che l'amore venga corrisposto è un fatto naturale, necessario direi nella Chiesa e nella comunità religiosa, ma bisogna sempre stare attenti a mantenere la piena purezza dell'amore.

Voi dovete amarvi fra di voi, ma non dovete pretendere nello stesso tempo di essere amati - dovete essere amati senza pretenderlo, non amare in forza della risposta degli altri, non amare gli altri in forza dell'amore che ottenete. Voi dovete certo ottenere, eppure non avete da chiedere, non potete esigere, perché nel medesimo istante che voi esigete una risposta, il vostro amore cessa di essere gratuito, cessa   di essere l'amore di Dio che vive nei vostri cuori.
L'amore reciproco ha un suo esempio, direi una sua causa esemplare nell'amore delle divine Persone. La carità cristiana non è altro che la partecipazione nostra alla vita di Dio. Ora, nell'amore del prossimo, l'uomo vive l'amore di Dio per tutte quante le creature. Per questo il nostro amore si rivolge a tutti, anche ai cattivi. Però, Dio è causa esemplare del nostro amore, più ancora che nel fatto che Egli ami gli uomini, nel fatto che Egli ama Se stesso. La causa esemplare dell'amore soprannaturale io la vedo, certo, nel fatto che Dio ci ama, ma prima ancora nell'amore onde Egli si ama. È in questo amore onde Egli si ama che io devo vedere le ragioni, la grandezza, il modo di amare.

Come Dio si ama?
Qual è la vita delle divine Persone? È il dono totale, eterno di Sé da parte di ogni Persona divina all'altra Persona correlativa, in tal modo che il Padre dona tutto Se stesso al Figlio, il Figlio dona tutto Se stesso al Padre. Il Padre in Sé è come non fosse, il Figlio in Sé è come non fosse, perché è tutto per l'altra Persona correlativa, nulla mantiene per Sé. Quello che manterrebbe per Sé non sarebbe più Dio, perché ogni Persona divina è pura relazione di amore. Avanti di essere Figlio il Figlio non è, avanti di essere Padre il Padre non è.
Ciascuno di noi nell'amore fraterno dovrebbe vivere l'amore stesso di Dio, dono totale di sé all'altra persona, e questo vuol dire donare agli altri tutto quello che abbiamo, beni tempo, capacità, lavoro, comprensione, affetto, stima..., tutto, senza limiti. In tanto si vive (perché la vita del cristiano è amore) in quanto effettivamente ci si dona, in quanto ciascuno di noi vive il suo rapporto di amore con l'altro fratello in un dono totale di sé. È un impegno grande che spaventa.
Nella misura che siamo nella Chiesa, dobbiamo vivere questo amore, che è l'amore trinitario: vivere l'amore stesso di Dio in un dono continuo di sé al proprio fratello, in un dono però che è anche un continuo ricevere.
C'è una certa carità paternalistica per la quale noi si vuole tutto donare, ma nulla ricevere: giustamente il mondo oggi reagisce contro questa concezione della carità. Della carità cristiana, a volte, noi diamo un esempio molto sbagliato, diamo l'esempio della carità come beneficenza. La carità invece se importa questo dare, importa anche questo ricevere. Giustamente il popolo sente la necessità che il ricco rispetti la dignità del povero; la dignità del lavoro, di quello che il povero può dare in modo che tanto l'uno che l'altro sentano nello stesso tempo e di donare e anche di ricevere e sentire che quello che riceve dall'altra parte non è meno di quello che dona.
Il Padre dona tutto Se stesso al Figlio, ma il Figlio dona tutto Se stesso al Padre, e il dono è identico, è uno. Così fra noi. Se io do quello che posseggo, per esempio questi discorsi..., devo sentire che il vostro dono - la vostra attenzione, la vostra comprensione - è altrettanto grande, grande come quello che vi do io. Se io faccio del paternalismo e credo di essere io soltanto a donare e non voglio ricevere nulla da voi, non vivo il vero amore fraterno, non agisco da cristiano.
Siamo tutti sul medesimo piano: è un donare ed è un ricevere. Dare totalmente, dare tutto quello che abbiamo, tutto quello che siamo. Uno può dare la sua povertà, che è un dono grande come la ricchezza di un altro; uno può dare la sua semplicità, che è un dono grande come la cultura di un altro. Si è sul medesimo piano. Il Figlio non è inferiore al Padre, né il Padre al Figlio.

Noi siamo fratelli.

lunedì 29 agosto 2011

Festival Francescano 2011: Francesco d'Italia


FESTIVAL FRANCESCANO 2011: FRANCESCO D’ITALIA
Nella città del tricolore, Reggio Emilia, il 23, 24 e 25 settembre si festeggia “il più santo degli italiani”: Francesco d’Assisi. Ricco di originali sorprese il programma con più di 60 appuntamenti

Il modo più originale per festeggiare il 150° dell’Unità d’Italia? Il Festival Francescano che si terrà a Reggio Emilia, città dove è nato il tricolore, il 23, 24 e 25 settembre 2011. San Francesco è Patrono d’Italia e, come disse Giovanni Paolo II: “difficilmente si potrebbe trovare un’altra figura che incarni in sé in modo altrettanto ricco e armonioso le caratteristiche proprie del genio italico”.

La terza edizione di Festival Francescano, promossa e organizzata dal Movimento Francescano dell’Emilia-Romagna, declina attraverso conferenze, spettacoli e attività per bambini il modo in cui il francescanesimo ha contribuito a costruire i valori di riferimento della cultura italiana. La formula dell’evento, che lo scorso anno ha registrato 25.000 presenze, è simile a quella degli altri Festival, mentre la sua declinazione unica riesce a intercettare un bisogno di spiritualità sempre più presente nella società contemporanea.

Il messaggio di fraternità, servizio e dialogo sarà testimoniato da grandi protagonisti della società civile italiana come Ernesto Olivero, più volte candidato al Nobel per la Pace e Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. Hanno colto l’invito del Festival anche personalità della politica come Romano Prodi, già presidente del Consiglio e Giuseppe Pisanu, già ministro dell’Interno. Non mancheranno rappresentanti del mondo accademico come Alberto Melloni, massimo esperto del Concilio Vaticano II; Valerio Onida, Presidente dell’Associazione italiana dei costituzionalisti e la psicologa Maria Rita Parsi, recentemente insignita del Premio nazionale “Paolo Borsellino” per l’impegno sociale e civile. Ospiti anche grandi giornalisti e scrittori come Armando Massarenti, responsabile della pagina “Scienza e filosofia” dell’inserto domenicale de “Il Sole 24 Ore” ed Enrico Brizzi, autore del famosissimo “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”. Brizzi porterà a Reggio Emilia il progetto “Italica 150”: un romanzo, una mostra fotografica e contributi audio-video frutto dei 2.100 Km percorsi a piedi per rispondere alla domanda “chi sono oggi gli italiani?”.

La musica di Giovanni Allevi, definito il Mozart del 2000, farà da colonna sonora alla manifestazione, mentre il teatro italiano più famoso al mondo, quello del Premio Nobel Dario Fo, sarà interpretato da Mario Pirovano con “Lu santo jullàre Françesco”: una fabulazione sulla vita del santo che prende spunto da testi canonici e da favole popolari. Per il “giullare Francesco” non potevano poi mancare le canzoni piene di vita di Niccolò Fabi e, per i più piccoli, del mitico “Piccolo Coro Mariele Ventre dell’Antoniano”.
Tra frati che fanno magie e simpatici clown, anche i bambini avranno tante occasioni di divertimento. Ma sono le attività didattiche il fiore all’occhiello del Festival, che quest’anno ospita anche un esperimento di teatro che educa alla memoria attiva firmato dalla Scuola di Pace di Monte Sole e dalla compagnia teatrale Archivio Zeta.

La grande arte sacra sarà presente al Festival grazie alla Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla che allestirà una mostra su Guido Reni (1575-1642), mentre una preziosa reliquiadi San Francesco, un lembo del saio insanguinato dalle stigmate, verrà straordinariamente spostato dal Santuario de La Verna a Reggio Emilia.

Il Festival Francescano è organizzato in collaborazione con il Comune di Reggio Emilia. Patrocini: Regione Emilia-Romagna, Assessorato alla Cultura e Assemblea Legislativa; Provincia di Reggio Emilia.

Il programma completo su: www.festivalfrancescano.it,