La Chiesa apre oggi la serie settenaria dei giorni che precedono la Vigilia di Natale, e che sono celebrati nella Liturgia con il nome di Ferie maggiori. L'Ufficio ordinario dell'Avvento assume maggiore solennità; le Antifone dei Salmi, alle Laudi e alle Ore del giorno, sono proprie del tempo e hanno un rapporto diretto con la grande Venuta del Bambino di Betlemme. Tutti i giorni, ai Vespri, si canta una grande Antifona che è un grido verso il Messia e nella quale gli si dà ogni giorno qualcuno dei titoli che gli sono attribuiti nella Scrittura. Il numero di queste Antifone, che sono dette comunemente antifone O dell'Avvento, perché cominciano tutte con questa esclamazione è di sette nella Chiesa romana, una per ciascuna delle sette Ferie maggiori, e si rivolgono tutte a Gesù Cristo.
(Dom Guéranger)
Il numero sette è il numero della perfezione per la Bibbia.
Altre Chiese, nel medioevo, ne aggiunsero ancora due: una alla Santissima Vergine, O Virgo Virginum! e una all'Angelo Gabriele, O Gabriel!. Ed erano così nove. Nove, come i mesi che una donna impiega a far germogliare in sé il fiore della vita. Se pensate bene, potremmo vedere nella scena dell’Annuncio dell’Angelo a Maria tutte queste invocazioni schierate una accanto all’altra. In quel dialogo che sono le Antifone, tra Maria e Gabriele, ci sta il Verbo di Dio, il Figlio di Dio, Gesù di Nazareth, chiamato sapienza, chiave, germoglio, astro, Signore, Re, Emmanuele. La Salvezza attesa dai popoli.
Oggi, il Messia lo invochiamo con il titolo di Sapienza. Che cos’è la sapienza? La sapienza ha a che fare con il bene e nella fattispecie con la delicatezza, la grazia e il discernimento. Essa segna l’amore e la sensibilità per il particolare, per il dettaglio, per poter poi cogliere tutto nell’insieme. Essa serve primariamente alla formazione della coscienza e a dare quindi giudizi giusti sulle realtà che ci circondano. Ella ci aiuta a leggere con equilibrio la realtà quotidiana della vita e a mettere in rapporto il vero con il bene.
Essere sapienti non significa sapere tutto. Non significa dare risposte a tutto. Vuol dire imparare a porre le domande giuste. Colui che offre risposte a tutto non è saggio, bensì saccente. Ecco allora che saggezza vuol anche dire anche imparare dagli errori commessi. Come ci insegna la Sacra Scrittura. I profeti sbagliano e così pure gli apostoli.
Ma, come individuare gli errori?
La parola sapienza, che qui consideriamo, sulla scia dell’antifona al Magnificat, come sinonimo di prudenza, viene dal latino sapere, che vuol dire sapore, gusto. E la prudenza, presa in questa accezione, ci fa proprio entrare nella dimensione del gusto delle cose. E’ come se fossimo chiamati a mangiare e ruminare le situazioni, i pensieri. A riflettere. In che modo? Imparando a fare discernimento. Non prendendo nulla per scontato, in modo superficiale.
Chiediamo al Signore di illuminarci con la Sua presenza sapiente, che dia gusto alle cose che viviamo. Che ci aiuti a non fuggire la realtà che ci troviamo ad affrontare.
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